A proposito dei giovani: 1985 – 1995, la generazione bruciata
E fu così che a Rimini, in occasione del Meeting organizzato da Comunione e Liberazione, movimento cattolico tanto discusso quanto radicato nel tessuto sociale del centro e del nord italia, Mario Draghi dichiarò l’ovvio e il Paese si scosse, attraversato dalla riscoperta di una normalità nascosta nell’angolino più buio della coscienza sociale: generazioni di giovani bruciate sull’altare di immobilisimo e assistenzialismo, con una crisi in arrivo e poco tempo per intervenire.
“I giovani”, parte dell’oggetto di analisi dell’ex Governatore, vengono individuati come la categoria da sostenere attraverso istruzione e formazione, in quanto saranno “i pagatori di domani” per l’enorme debito pubblico accumulato nel passato remoto e in quello più recente.
Seppur Draghi non citi volentieri l’Italia, la generazione del Governatore riassunta nel termine “giovani” riguarda i nati fra 1985 e 1995, un decennio al quale si contrappongono tredici anni, dal 2007 al 2020, segnati dall’abbraccio di due crisi globali capaci di stritolare diritti e castrare ambizioni.
Essendo nell’epoca della tecnica, la retorica e l’espressione delle idee necessitano però di un supporto numerico, di dati. In questo senso, la cronistoria dell’economia nazionale dell’ultimo decennio ci viene incontro.
Nel periodo 2010-2020, il tasso di disoccupazione media giovanile si è attestato sempre fra il 20 e il 30%, in risalita negli ultimi 5 anni e attualmente fermo al 27,6%.
Se è vero che il tasso di occupazione nazionale nel periodo 2015-2020 sia passato dal 12% circa all’8.8% attuale, la generazione protagonista di questa storia ha conosciuto l’epoca dei contratti co.co.pro., co.co.co et similari, con i quali si è portato avanti un mercato del lavoro drogato di precariato per la miopia di gran parte della classe imprenditoriale incapace di agganciare l’innovazione e per conto di una politica inabile ad alleggerire il costo del lavoro in maniera netta, all’interno dei differenti cicli economici.
“I giovani”, che oggi dovrebbero salvare la patria, non hanno avuto accesso al credito a causa di una condizione lavorativa molto spesso precaria, per colpa di salari non corrispondenti al costo della vita, per la crisi del sistema bancario e la nuova rigidità nell’erogazione di finanziamenti e mutui. Così si è bruciato quell’avvenire al quale ci si è appellati sempre meno, silenziandolo con le casse o i sostegni a fondo perduto; chiudendo un occhio, poi l’altro, fino a fingere la cecità sperando di scampare al reale.
Dall’altra parte, la preparazione per il mondo nuovo che si andava formando agli inizi del 2000, quello della tecnologia e del linguaggio digitale, dello IoT (Internet of things) non è stato assistito da un piano di offerta formativa (il famoso POF) capace di stare al passo con i tempi: si è discusso sullo studio del latino, ci si è spesi nei dibattiti sull’insegnamento della storia (quella più remota, ovviamente), ma si è tralasciato lo sviluppo di una istruzione che guardasse al linguaggio del web e ai lavori tecnici, segno di una vergogna sociale riconducibile a un passato del quale ci si vergogna: avi sottomessi alla mezzadria, durata fino alla metà degli anni 70′, emigrati per lavorare in miniera o nei ristoranti. Lavori della vergogna e senza controllo, oggi affidati in gran parte agli ultimi, i più ricattabili.
In questo sistema saltato per un’azione dinamitarda e suicida quasi scientifica, il ruolo delle famiglie italiane non è stato meno consolatorio di quello dello Stato assistenzialista, con l’erosione del risparmio come risposta a una situazione continuamente emergenziale, per la quale il domani è stato sempre stato l’attesa stessa dell’alba successiva o dell’homo novus: da Berlusconi a Salvini e, in ultimo, al Premier attuale, Giuseppe Conte.
Nel contesto di un Paese allo sbando, dove la società capitalistica ha raggiunto il suo stadio finale nel chiaro segno di un individualismo che timbra la società attraverso i social come risposta alla solitudine e alla ricerca di sé, ci si interroga ancora sul “dove” si possa aver sbagliato, solo perché il “quando” sarebbe troppo attuale.
dì @GuidaLor
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