Perché l’Italia non può boicottare l’economia turca

Premessa: i rapporti economico – commerciali fra Turchia ed Italia sono sempre stati eccellenti, raggiungendo nel 2011, con l’ultimo Governo Berlusconi, la cifra record di 21.3 miliardi di euro.

 

Siamo fra i primi partner mondiali della Turchia, paese nel quale abbiamo investito, solo nel 2018, 509 milioni di dollari, una cifra in aumento del 297% rispetto al 2017.

 

Nell’ultimo decennio alcune fra le nostre imprese impegnate nel settore delle costruzioni e dell’ingegneria, hanno ottenuto prestigiosi e remunerativi appalti, senza contare la presenza di altri giganti dell’alimentare e del sistema bancario, fortemente attive nel mercato turco.

 

Se la congiuntura economica del 2019 ha fatto lievemente diminuire l’export verso la Turchia, è pur vero che, come ricordato dal rapporto Sace – Simest 2018, l’export italiano vale ancora 8.8 miliardi di euro, a fronte di un import dalle simili dimensioni.

 




 

Dalla Turchia acquistiamo macchinari, il coke e prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio, con una crescita esponenziale negli ultimi anni, arrivando a spendere fino a 1.307 miliardi di euro nel 2018.

La Turchia paga all’Italia cifre da capogiro per assicurarsi prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (oltre 1.3 miliardi) ma anche prodotti tessili e prodotti dell’agricoltura, per un giro di affari attorno ai 500 milioni di euro.

 




 

Erdogan è un dittatore. Dallo sterminio del popolo curdo ai ricatti con i migranti, tiene in scacco l’Europa. Ciò detto, nel mondo globalizzato, la Turchia è un partner economico e commerciale di fondamentale importanza per ogni paese europeo.

 

La domanda è sempre la stessa: il sangue ha un peso specifico. E il denaro?

 

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