Breve riflessione su “L’ordine del tempo” di Carlo Rovelli

“Mi fermo e non faccio nulla. Non succede nulla. Non penso nulla. Ascolto lo scorrere del tempo. Questo è il tempo. Familiare e intimo. La sua rapina ci porta. Il precipitare di secondi, ore, anni ci lancia verso la vita, poi ci trascina verso il niente… Lo abitiamo come i pesci l’acqua. Il nostro essere è essere nel tempo. La sua nenia ci nutre, ci apre il mondo, ci turba, ci spaventa, ci culla. L’universo dipana il suo divenire trascinato dal tempo, secondo l’ordine del tempo”.

Così inizia questo libretto di circa 200 pagine, un libretto che parla di fisica, di emozioni, di dasein, ovvero di esser-ci nel mondo e di esser-ci nel tempo.

Giunto al termine di questa opera, qualche anno fa, mi sono sentito scosso e commosso. Felice quasi. Un dono inaspettato che ha riannodato improvvisamente fili che erano stati slegati per un certo periodo e di cui ho desiderato a lungo cercare una connessione.



Banalmente, ma forse non troppo, la matematica e le emozioni per esempio. E allora, al termine della lettura, mi era affiorato alla mente il ricordo di un mio professore di matematica, un uomo all’apparenza arido che mi sono sorpreso improvvisamente a perdonare e ad invidiare, poichè non avevo compreso ciò che aveva compreso lui, ovvero che dietro ai numeri, alle teorie e ai concetti ci sono le emozioni.

Leggendo “L’ordine del tempo” mi sono chiesto se davvero fosse possibile mantenere una sintonizzazione con quanto al suo interno era scritto, con le sue proposte, le sue conclusioni e in ultima analisi, le emozioni che trasudavano da esso. Volevo cioè capire, nella mia immaturità, se fosse possibile vivere una vita avente come direttrice proprio quelle categorie che Rovelli mi stava mostrando. Il fatto è che scavare nei misteri dell’universo è attraente e permette di accedere al sublime. Talvolta, anzi spesso, può essere spaventoso.

Studiare il tempo e la propria interiorità sono più o meno la stessa questione, un equilibrio di curiosità e terrore fatto di spinte centrifughe e centripete.




Ciò che resta, però, è il fatto che nonostante siamo immersi nel tempo, non possiamo essere tutt’uno con esso. Questo libro può stimolare qualcosa di molto profondo in chi lo legge, poiché concede al lettore di osservarsi senza consapevolezza all’interno di una cornice infinita, che sottrae peso al pensiero di se stessi, facendoci rendere conto di quanto in realtà siamo infinitamente piccoli.

Non è un messaggio di speranza quello che Rovelli prova a trasmettere: il tempo, come l’universo, sono dimensioni ancora lontane dall’essere comprese. Le loro possibilità possono illuderci, e la loro conoscenza può farci immaginare, sognare persino. Tuttavia, alla fine, il messaggio è chiaro: dopo il viaggio nel tempo dobbiamo tornare a guardare in noi stessi, nel nostro piccolo, infinito, mondo.




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