Capitalismo infetto : dal Cile all’Europa, aumenta la ricchezza ma crescono le disuguaglianze.

Le violente manifestazione di Santiago non sono frutto della noia di una gioventù borghese che anela all’epico, ma il grido di un Paese dove il divario fra ricchi e poveri sta diventando sempre maggiore: come in Italia, come  in Europa, come nel resto del mondo.

 

Un destino, quello cileno, che per le dinamiche attraverso per le quali si è realizzato, e che affrontiamo più avanti, aleggia come uno spettro sul capitalismo mondiale, in cui un sistema produttivo sempre più concentrato in grandi realtà, conduce il capitale verso poche mani, con il conseguente squilibrio sociale.

 

Non è un caso se, anche in Europa, siano in netto aumento le disuguaglianze sociali, come sottolineato anche nel World Inequality Database, nel quale si ricorda che, nel 2017, il 10% della popolazione più ricca abbia guadagnato il 34% di tutto il reddito europeo.

 




 

Per capire le storture dell’economia cilena basterebbe leggere i dati più recenti.

Il PIL vola dal 2011, attestandosi, nell’ultimo anno, al + 4%, in totale controtendenza con il resto del mondo; la disoccupazione è  intorno al 5-6%, dato eccezionale per un Paese sud americano; qualcosa che fa impallidire se rapportato al  10% italiano, al quale siamo inchiodati, punto più punto meno, da troppi anni.

 

Il problema di questi numeri, però, è il loro essere drogati.

 

Se è vero che il PIL vola, ciò è dovuto fondamentalmente all’esportazione del rame, sempre più prezioso nei processi produttivi moderni e venduto in grandi quantità alla Cina, che, insieme ad alcune multinazionali, sta molto investendo per un ovvio ritorno economico – politico.

Il mercato del lavoro è una macelleria sociale in cui le aziende giocano al ribasso con i lavoratori, la spesa per il welfare, scuola e sanità, è nulla rispetto agli incassi registrati dallo Stato.

Se l’economia cilena ha numeri positivi, la sua incapacità di diversificare i settori di impiego conduce alla concentrazione di sempre più capitali in poche mani.

 

Per cosa si stanno facendo ammazzare i giovani cileni?

 

La risposta è  rintracciabile nell’indice GINI, con il quale si misurano le disuguaglianze all’interno di un Paese.

Quello cileno è fra i più evidenti al mondo (0.45); l’Italia è a metà classifica con uno 0.33

Il capitale, concentrato in poche mani, sfugge alla redistribuzione della politica e si fa città fortezza, come nel caso dei quartieri ricchi di ogni città sud americana, da Buenos Aires, a San Paolo, fino a Santiago, ciò che  sta succedendo alla stessa Europa, con uno strappo sempre più evidente fra centri e periferie.




 

I giovani cileni protestano perché chi nasce povero ha il destino segnato a causa di una scala sociale bloccata, e per uno Stato che non investe nel welfare, in istruzione e cultura, preferendo altri settori, come quello infrastrutturale, in cui sta per spendere oltre un miliardo di dollari. In tal senso, non è un caso l’incendio al palazzo dell’ENEL.

 

Recentemente, abbiamo scritto un pezzo, ripreso da uno studio apparso su Affari e Finanza a firma di E. Occorsio, nel quale si citavano i 15 trilioni (!!) di dollari nascosti nei paradisi fiscali, prevalentemente dalle multinazionali ma anche dei privati, che sfuggono a qualsiasi tipo di redistribuzione.

Ben oltre gli slogan da manifestazione, questa distribuzione della ricchezza e le storture sopra citate ci portano a dire che il capitalismo è davvero malato e sta infettando la società, a partire da quella cilena.

 

In una economia globale che vede l’Europa entrare nella post industrializzazione, l’esiguo numero di attività e di posti di lavoro che caratterizzeranno il sistema economico del futuro diventano un problema attualissimo, al quale la nostra politica deve rispondere con riforme serie, ed un welfare sempre più calibrato. L’alternativa saranno i manganelli di Pinera e i morti che si iniziano a contare per le strade di Santiago e del Cile.

 

 

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Foto https://pixabay.com/it/photos/persone-polizia-protesta-acqua-2591693/

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