Cinque stelle, tre matrimoni e un funerale

 

 

dì @GuidaLor

 

Salutavano sempre. Nacquero incendiari e morirono affogati nelle contorsioni illogiche delle loro azioni. Mancheranno, davano un tono all’ambiente.
Nel Movimento 5 Stelle che si appresta a sostenere il Premier Mario Draghi, la spaccatura interna, pur minima, segna il passaggio verso l’oblio di una realtà nata per rivoluzionare la politica e cagliata nel piatto del potere come parmigiano troppo sensibile alle alte temperature.
Un tentativo di cacio e pepe risolto in pappa disgustosa, fra gaffe di ogni genere e alleanze trasversali, oscenità e impreparazione, proprio da parte di chi non avrebbe mai voluto sedere al tavolo con la vecchia classe dirigente e prometteva soluzioni innovative a problemi atavici.
Tre matrimoni impossibili, l’ultimo dei quali con il Governo a guida Draghi, anticipati dall’amaro calice bevuto insieme a Salvini e dal bombardino mandato giù di un fiato, pur di continuare a “dettare la linea” insieme a Renzi e al PD.
Decisione presa dai click della piattaforma Rousseau, ennesima rappresentazione della democrazia dal basso dove all’uno vale uno si è presto sostituita la logica di mercato, con il primo, ovvero Grillo, che vale 100.
Riproporre oggi i video del Movimento inaugurato nel lontano 2007 fra i bagni di piazza del VDay e l’attenzione dei mass media, o i monologhi sul “Partito di Bibbiano”, o ancora i “No all’Europa della finanza”, risulta esercizio banale ma esplicativo delle piroette che hanno portato il grillismo ad abbracciare Berlusconi e Draghi, Renzi e Zingaretti, Salvini e Bersani. Quest’ultimo, suo malgrado, passato alla storia come l’unico ad aver ricevuto un sonoro “vaffa” in diretta streaming.
Ottimo materiale per i documentari che saranno ma inutile stimolo per un singulto di erezione passionaria da parte dei rappresentanti eletti, impotenti di fronte all’inesorabile tempo,  alla colla spalmata sulle poltrone, alla puntualità del bonifico mensile, in una missione giustificata a suon di “scappellamenti a destra” da tragicommedia all’italiana.

 

 

 



 

 

Quanto resta della rivoluzione che non fu è il branco di persone comuni oggi disgregate nei palazzi del potere, intercettate dai cronisti d’assalto e smentite tre minuti dopo dal compagno di banco.
Giacca e cravatta buoni anche per il battesimo del nipote, l’umiliazione di una base sempre più esigua e schifata dall’ennesimo sogno tradito.
Il vaffanculo come incipit e finale. In mezzo il nulla.
Qualche tentativo di sostenere le fasce più deboli della popolazione infranto contro la realtà dei numeri, nella strutturazione di un welfare monstre costruito con la stessa cura dei dettagli prestata al castello di sabbia estivo. La pandemia come fulmine a ciel sereno capace di paralizzare ulteriori, possibili sfaceli.
La scrivania occupata dalle foto con tutti gli alleati di questi anni e lo spazio lasciato libero per l’ultima istantanea, finale di un grottesco capace di far impallidire il miglior Ionesco.
In questa “Baaria” senza polvere e povertà contadina, un manipolo di parlamentari guidati da Alessandro Di Battista – che parlamentare non è, tanto per aggiungere dello psichedelico alla faccenda- si dichiarano pronti a restare duri e puri, negando il sostegno accordato dalla sacra piattaforma al prossimo Governo.
Sia quel che sia,  sorge spontanea l’umana vicinanza verso chi dice “no” davanti allo specchio sul quale i più preferiscono sputare, prima di montare un sorriso di circostanza e consolarsi con il “So’ vivo” sussurrato da Giancarlo Giannini nella mitica scena finale di Pasqualino Settebellezze.
E allora ecco la bara dell’ideale portata a spalla dagli ultimi pasdaran.
“Il peggio è per chi muore” sussurra il saggio.  La folla si disperde, alle spalle le macerie.
“Facciamo presto, Luigino esce da scuola, Questa politica se ne frega della mancanza di asili nido. Un vero schifo, signora mia”.

 

 

 



 



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *