Dark 3 – Una lettura psicologica
Attenzione, Spoiler Alert!
Proviamo a immaginare per un momento che tutti i personaggi di Dark non siano mai esistiti realmente. Potrebbe essere una lettura dell’intera serie, non trovate?
La fantascienza invece ce li ha proposti in carne ed ossa, a cercare di combattere il Dio-Tempo, finendo sempre per soccombere. Al termine della terza ed ultima stagione di Dark scopriamo che i due mondi in lotta tra loro non sono altro che l’appendice di un mondo originario, nel quale un giovane scienziato lavora per anni al fine di riportare il tempo al momento precedente la morte del figlio, avvenuta poco dopo una accesa lite tra i due. Dagli anni di studi, sacrifici e volontà dello scienziato scaturisce una macchina del tempo, involontaria creatrice di universi paralleli e in lotta tra loro: nell’infinito dell’eterno ritorno (quasi) tutto è possibile e allo stesso tempo impossibile, lungo le linee dell’infinito stesso. Se osserviamo il simbolo, infatti, noteremo che un punto, una storia potremmo dire, può viaggiare all’interno o all’esterno della linea ripetendosi continuamente: Ꝏ.
Uno scenario estremamente affascinante che sta a rammentarci il solito monito: non siamo liberi. Tutt’al più siamo incastrati in un doppio binario.
Torniamo all’idea di partenza. E se i personaggi di Dark fossero, ciascuno, una parte della mente del signor Tannhaus, l’orologiaio che ha costruito l’originaria macchina-crea-universi?
Jonas, Martha, Bartosz, Elisabeth e le loro rispettive famiglie? Un’idea intrigante: la mente di un uomo afflitto dal dolore per la morte del figlio ha creato due universi mentali crudi, in cui ognuno è prigioniero del tempo, schiavo di un singolo momento e di un singolo atto chiamati l’ ‘origine’, il ‘nodo’. In altre parole, la morte del figlio. Un tassello che, estratto dal castello di dolore del protagonista (a questo punto possiamo dirlo, il signor Tannhaus lo è, anche se lungo le stagioni è un personaggio rappresentato in maniera piuttosto secondaria) può liberare egli stesso da tutto il male vissuto. Un male che, come testimoniato dalle ultime scene, può essere letteralmente cancellato, sciolto.
Le diverse parti interne del sig. Tannhaus combattono ora dopo ora, giorno dopo giorno, contro se stesse e, cosa più importante, contro il tempo, in una battaglia persa in partenza. Nonostante ciò non si arrendono: per ben tre stagioni (e infiniti cicli) le troviamo in una lotta angosciosa e testarda in cui ciascuna azione e ciascun pensiero sono ineluttabilmente sottomessi al destino tenebroso dell’apocalisse. Al ritorno dell’errore, dell’orrore, del dolore.
Possiamo pensare allora che sia lo stesso sig. Tannhaus a non riuscire a liberarsi di tutto questo. Dietro la grande scoperta dell’intelletto (la macchina del tempo) si svela la terribile fissazione sull’esperienza emotiva della perdita, sulla morte. Non è forse un caso l’assonanza del cognome del protagonista (Tannhaus) con Thanatos, ‘morte’ in greco.
L’impotenza, dunque, come unico elemento apparente in Dark.
Eppure, dopo tante battaglie, i personaggi si accorgono che nel movimento sempre identico del tempo rimane uno spiraglio, un piccolo momento in cui il tempo dell’angoscia che non conosce limiti si ferma e lascia spazio a una nuova possibilità. È lì che vanno ad innestarsi Jonas e Martha, i ‘protagonisti’ della mente di Tannhaus, la sua parte vitale. L’unica coppia che genuinamente nella serie è mossa dall’amore puro, dalla promessa del ‘per sempre’. Un movimento di- e in-sperato della vita finisce allora con il cambiare tutto.
Dopo una sofferenza infinita c’è spazio, nella mente di Tannhaus, per un nuovo inizio. Per una rinnovata libertà.
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