Il tempo e la madre nella schizofrenia di Donnie Darko
Adesso basta parlare di Joker, lo abbiamo fatto tutti, fin troppo. Parliamo di qualcun altro, ad esempio di Donnie Darko. Chissà cosa si direbbero Donnie e Arthur se si incontrassero per strada. Probabilmente niente. Probabilmente riderebbero entrambi, ma ognuno per conto proprio. Ma si era detto basta.
Eppure, abbastanza evidentemente, qualcosa in comune tra i due personaggi c’è, e questo qualcosa si chiama psicosi. Ma mentre il film Joker mostra la storia del protagonista, una storia dura, crudele, mostruosa, senza speranza, Donnie Darko, film del 2001, tiene attaccati all’attuale, alla fenomenologia della vita di un adolescente che si dipana all’incirca in venti giorni. E qui c’è tutta la differenza del mondo. Si tratta di un problema, quello della mancanza del pregresso, dello storico, con cui per la verità quasi sempre dobbiamo fare i conti quando decidiamo di vedere un film.
Questo offre però l’opportunità di afferrare l’aspetto fenomenologico e di osservare con attenzione il (si fa per dire) mero accadere degli eventi.
In una costruzione ciclica che richiama per certi versi la serie tv “Dark” (che l’assonanza con il cognome del protagonista non sia casuale?), il film consente di osservare e comprendere come proprio la categoria del tempo sia tra quelle più intaccate nella mente dello schizofrenico. È la realtà stessa ad essere sgretolata, e l’immagine che sembra avvicinarsi di più a questo concetto potrebbe essere quella di un anello di una catena la cui saldatura fonde l’inizio e la fine di qualcosa. Nella fattispecie, della psicosi.
L’esordio psicotico e le sue conseguenze più nefaste vengono a ricongiungersi nella scena parallela del motore di un aeroplano che cade nella stanza di Donnie. In un caso distruggendone solo gli oggetti, il tetto e la struttura, alzando un polverone per tutta casa, nell’altro uccidendo lui stesso. In mezzo, allucinazioni violente e illuminanti, voci minacciose e autoritarie, e il pensiero delirante e onnipotente di avere in pugno lo scorrere ciclico del tempo e, in ultima analisi, della vita.
Purtroppo, ancora una volta, l’assenza della storia dei personaggi può solo spingerci a fare delle ipotesi.
Il motore di un aereo che cade sulla stanza di Donnie proviene da un cielo misterioso, in circostanze misteriose. Solo dopo diventa più chiaro che su quell’aereo viaggia la madre di Donnie, un personaggio che per tutto il corso del film sembra pronunciare un fiume di parole senza dire quasi nulla.
Antonello Correale, psichiatra e psicoanalista, ha messo in relazione lo sviluppo della psicosi con la caduta di una ‘presenza’, ovvero con la scomparsa inaspettata di una figura accudente e protettiva, non necessariamente tramite la morte reale. In questa storia qualcosa, anche se non si sa bene cosa, suggerisce che possa essere andata proprio in questo modo. Lo stesso autore ha poi suggerito che per tale caduta non bisogna necessariamente incolpare la figura (genitoriale), dal momento che essa stessa è solitamente portatrice di un trauma non elaborato che finisce con il ricadere sulle generazioni successive. Come il motore di un grosso Boeing, possiamo ora aggiungere.
In alcuni casi, si ha solo la fortuna di non essere l’abitante della stanza su cui questo enorme peso cade, nel momento in cui cade.
“Donnie Darko” è un film che comunica in modo impattante l’aspetto fenomenico della schizofrenia, con tutti gli accorgimenti cinematografici del caso, lasciando allo spettatore l’onere/onore di interpretare e immaginare la storia passata e quella futura che il film, semplicemente, ricongiunge nell’attimo presente di un crollo.