Dopo Chernobyl, il pericolo del “Cactus” nel Pacifico

C’è stata un’epoca folle in cui l’uomo ha giocato con “la forza del nucleare”, una bestia di sua creazione dalla quale, dopo 70 anni, non riesce ancora a liberarsi, né a livello militare, né a livello energetico.

La recente serie tv “Chernobyl”, che ricostruisce le ore successive al famoso disastro nucleare, riporta alla memoria del pubblico solo il momento apicale della pericolosa relazione fra uomo e nucleare, con un incidente dalle conseguenze ben note.



Oltre il problema delle scorie radioattive che, nascoste in giro per il mondo, rappresentano delle vere  e proprie “bombe dormienti”, e alla gestione di Chernobyl con la sua bara di cemento, oggi l’allarme sulla radioattività si sposta nel Pacifico.

Il pericolo n.1, al momento, riguarda la cupola di cemento costruita negli anni 70’ nelle Isole Marshall (costo 250 miliardi di dollari), per chiudere il “cactus” – una gigantesca buca riempita di terra radioattiva asportata dai luoghi delle sperimentazioni militari americane– che starebbe disgregandosi, rilasciando sostanze come il plutonio – 239, in mare e sull’isola.

Con un’ampiezza di 9.000 metri quadri, formata da 358 pannelli di cemento spessi quasi 50 cm, la cupola è un palliativo ad una situazione che, comunque, ha causato già negli anni elevati livelli di radioattività nelle zone circostanti.

Il problema delle crepe nei pannelli di cemento, l’innalzamento del mare che dista poche centinaia di metri, e la corrosione del sale, stanno lentamente portando ad un futuro disastro nel Pacifico, già annunciato dal 2013.

Chernobyl, probabilmente non ha insegnato niente. Indovinate cosa sta impendendo la messa in sicurezza di questo mostro? Ci avete preso, i soldi (tanti) che servirebbero per la manutenzione straordinaria di un incubo creato dall’umanità stessa.

 

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