DPCM ovvero “Quì di soldi non ce n’è”
Covid19, nelle puntate precedenti.
All’inizio del 2020 l’epidemia di sars-cov-2 partita dalla Cina si diffonde nel mondo, abbattendosi in maniera più severa sull’Italia nei mesi di febbraio, marzo e aprile.
Il Governo è costretto ad imporre il lockdown per oltre 50 giorni.
Dopo mesi di reclusione e onerose riforme per tenere il sistema economico e sociale a “Gallera”, si passa alla Fase 2 con la promessa di lavorare alla riorganizzazione dei sistemi di trasporto pubblico, del lavoro agile e della didattica a distanza, incrementando i tamponi e rafforzando il sistema sanitario.
Il tempo corre veloce e l’estate scivola via fra le polemiche per i mancati controlli nei porti e negli aeroporti. La decisione sul MES viene costantemente rinviata e il problema centrale del Paese diventano le discoteche, dove il sars-cov-2 si rianima.
I contagi in risalita non preoccupano il Vice Ministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, che dalle dichiarazioni di luglio con il profetico “non ci sarà una seconda ondata”, passa al più rassicurante “controlleremo i nuovi focolai” di inizio settembre.
A ottobre la riapertura delle scuole, gli affollamenti nel trasporto pubblico, il ritorno negli uffici e il passaggio a una Fase 3 de facto, fanno schizzare nuovamente il dato dei positivi, dei morti, dei ricoveri e delle terapie intensive, con il nuovo allarme lanciato dagli operatori sanitari che lamentano le difficoltà di contenimento del virus e nella gestione dei pazienti.
La situazione generale spinge il Premier Conte a firmare un nuovo DPCM: vietati gli sport di contatto a livello amatoriale; mascherina anche all’aperto; raccomandazione di non incontrare più di 6 persone per volta; locali chiusi alle 24:00; più smartworking; matrimoni limitati a pochi intimi, compresi gli sposi, sempre che non ci ripensino.
Assorbita la cronistoria del virus la domanda è: l’ultimo DPCM risolverà la situazione?
Speriamo di sì, ma l’ottimismo estivo risulta fuori luogo alle porte di novembre, con l’influenza stagionale in arrivo e le poche dosi per i vaccini reperite in fretta e furia, mentre la situazione europea si dimostra anche peggiore di quella italiana.
Sul DPCM si è a lungo dibattuto ed è inutile cavillare ancora rispetto alle decisioni prese: il focus per capire cosa succede, quindi, deve spostarsi sulle scelte che non sono state messe in campo.
Se i droplet sono decisivi nella trasmissione del virus, non si capisce come ristoranti e cinema possano essere luoghi sicuri e in che modo la loro chiusura alla mezzanotte aiuti nel contenimento di una diffusione risolta con il sonno anticipato di qualche minuto.
Se gli sport di contatto sono vietati, nonostante il pregresso obbligo di un registro formale dei giocatori per il tracciamento, non si comprende in che modo le società sportive dilettantistiche e delle serie minori possano assicurare il controllo dei focolai.
Se i mezzi pubblici sono troppo affollati è ragionevole chiedere per quale motivo il Ministero dei Trasporti abbia perso mesi dietro ai bonus bici e monopattino, facendo affidamento sulle aziende per lo scaglionamento degli orari d’ingresso. Se poi la scuola deve restare aperta e il muratore non può usufruire dello smartworking, diventa ancora più complesso sbrogliare una matassa ingarbugliatissima, che richiederebbe una scelta drastica considerati gli inutili, accorati appelli al buon senso.
Una realtà troppo cruda per essere detta chiaramente davanti ai microfoni nasconde nel compromesso del DPCM la sua più intima verità: si è perso molto tempo -e non solo per colpa del Governo ma soprattutto delle regioni- adesso la frittata è fatta e le risorse per le decisioni drastiche non basterebbero.
Un nuovo lockdown sembra impensabile a fronte di un’economia al collasso, la cassa integrazione al termine, la prossima disoccupazione massiccia e interi settori che entreranno in crisi senza la possibilità di mettere sul piatto gli ingenti sostegni pensati in primavera.
La cassa è vuota in attesa del Recovery Fund, o FAUND, come dicono quelli che hanno fatto il militare a Cuneo.
Resistere, fortissimamente resistere, la nostra perenne panacea a tutti i mali: adda passà ‘a nuttata.
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