E’ stata la (deludente) mano di Dio
“E’ stata la mano di Dio” è il denso mare blu di Napoli e la storia di un’attesa pervasa da un dolore capace di bucare il talento, soffocare i noti silenzi, offuscare il tempo della narrazione anche in un maestro della regia come Paolo Sorrentino.
Due ore di una storia familiare nelle quale nulla trova la sua dimensione fuorché lo splendido mare della città partenopea.
Servillo giganteggia come sempre e le colonne sonore sono al solito coinvolgenti ma tutto il contorno di un’autobiografia certamente dolorosa è sfumato, laterale, a partire dalla famiglia di Fabietto, in una coralità iniziale che si risolve in storia minore, molteplici drammi sfiorati, grottesco fine a se stesso.
C’è poca intimità nelle relazioni fra il protagonista, gli altri e Napoli stessa ma a differenza di altre storie con protagonisti simili e introversi, nella “mano di Dio” non ci sono personaggi di raccordo, nodi che tengano insieme un percorso di crescita – o consapevolezza – segnato dal dolore.
In questo senso sono degne di nota solo un paio di scene tirate fuori dall’archivio dell’erotica adolescenza, la prima con la Zia Patrizia, la seconda con la Baronessa.
Ci sono poi Fellini e Maradona che aleggiano per l’ennesima volta nella storia personale di Sorrentino e nella sua pellicola più intima ma al di là di ogni analisi “intellettualoide”, cominciare a essere sgradevole la sensazione del “già visto” registrato nei suoi ultimi lavori, in un processo involutivo già registrato in altri grandi registi dopo aver raggiunto l’apice realizzativo (v. Fellini).
Il film non gode della fotografia magica della Grande Bellezza, di quella onirica e fredda di Youth o grigiastra “dell’Uomo in Più” e delle “Conseguenze dell’Amore” ma c’è la luce spenta delle storie assorbite, elaborate senza fingimenti, un lutto nel tempo.
La “Mano di Dio” mi ha deluso perché sembra “disunito” fra un Maradona che pone fine a un litigio familiare estremamente tragico e un “fratellastro” inserito solo fra le righe di una sceneggiatura che tiene conto di tutti e di nessuno.
L’autobiografia rimane un esercizio troppo complesso per il cinema? Forse si.
Nota a margine: la valanga di critici e giornalisti che sostengono ogni lavoro di Sorrentino, “nonostante tutto”, iniziano a essere insopportabili e forse controproducenti per lo stesso regista.