Elezioni 2021: globalizzazione e affluenza ai minimi storici
Le elezioni amministrative 2021 sono state la perfetta fotografia di un Paese in trasformazione, caratterizzato dalla rassegnazione popolare e da un interesse pubblico e politico che snobba la prossimità in favore dei grandi temi.
Il risultato di questo smottamento si traduce nell’affluenza registrata per le elezioni comunali 2021, ferma al 54.6%, ovvero la partecipazione più bassa di sempre.
A Roma non si è arrivati nemmeno al 50%.
Roma, la Capitale, una città che vive di e per la politica da circa tremila anni.
Una percentuale che riflette il malessere della politica ma non solo. Perché la globalizzazione che ha investito l’economia si è insinuata anche nell’architettura mentale dei popoli, traducendosi nel disinteresse e svilimento del concetto di prossimità.
Il locale è diventato inutile, buono solo quando riguarda il cibo ma per tutto il resto ha perso rilevanza, soprattutto se tradotto in amministrazione politica.
Lo spazio dell’individuo e della politica oggi è il mondo, con i suoi problemi tecnici, il cambiamento climatico etc. etc.: nel Paese che sta privatizzando la sanità chissenefrega degli asili comunali.
Ciò che conta sono i soldi per colmare le lacune dello Stato che appare irrimediabilmente assente. Individualismo allo stato puro.
Le città non sembrano più amministrabili perché inserite in un contesto nel quale la sola figura del Sindaco è depotenziata, estromessa dalle scelte nazionali, imbrigliata in problemi troppo grandi per la soluzione e poteri di un singolo amministratore.
Guardare sempre a Roma per credere: il dato di Virginia Raggi (19/20%)certifica che oltre una stampa indecente solo con chi vuole, i romani hanno capito in quali condizioni ha potuto lavorare una donna, avvocato, certamente non brillante per la sua azione politica ma anche assediata da problemi rimbalzati continuamente fra Regione (es. rifiuti), burocrazia, lobby (es. Stadio) e scelte del Governo.
Chi ha puntato sul programma cercando un riscatto dalla rassegnazione generale non è rimasto meno deluso: le 753 pagine dì buone intenzioni di Carlo Calenda hanno fatto cilecca: 150.000 voti sono due volte lo Stadio Olimpico pieno di tifosi. Pochissima roba in una città con 5 milioni di abitanti.
Resta poi il dubbio su questa nuova classe dirigente che si vuole competente e non trova una stampa in grado di interrogarla, con grande stupore del pubblico e ulteriore sfiducia degli elettori:
Nessuno ha chiesto nè a Calenda nè a gli altri candidati su tutto il territorio nazionale, quali siano i limiti oggettivi, oggi, di un Sindaco che si candida alla guida di una città, magari con qualche milione di abitanti.
Domanda pur necessaria per preparare un esercito di disillusi.In questo senso l’astensione riflette anche la scarsa comprensione dei cittadini sulle regole di un gioco democratico molto complesso.
I cinghiali a Roma sono un perfetto esempio della disinformazione che genera malumore e indifferenza: una questione che rimbalza fra regolamenti nazionali, regionali e comunali, finendo per non essere responsabilitá di nessuno.
E i cittadini si arrabbiano.
E i cinghiali girano.
E la sfiducia cresce.
Il progetto non conta perché è ormai mal comune e mezzo gaudio che gli indirizzi di una città non li detti un Sindaco ma il mercato.
Beppe Sala trionfa a Milano per una serie di ragioni geopolitiche sintetizzabili nel depauperamento della fisicità: avere una sede in prossimità dei Ministeri di riferimento non è più urgenza per le imprese che infatti dalla Capitale, negli ultimi 10 anni, sono fuggite a gambe levate.
E Milano cresce. E Roma no, perché Milano è fisicamente Europa e Roma solo un simbolo, la città più a nord del sud.
Ma la globalizzazione e ciò che ne discende dei simboli non sa cosa farsene.
E ad oggi un Sindac che sia di Roma o di Torino o peggio ancora di Napoli, può intervenire solo con una serie limitata di strumenti e necessita della fattiva collaborazione della sua Regione di riferimento, spesso del fronte politico opposto a quello del primo cittadino, con tutto ciò che ne consegue.
“La gente” tirata in queste ore per la giacchetta dai soliti competenti perché “non saprebbe votare”, questo lo ha capito e fra rassegnazione e disinteresse oggi preferisce il mare, la tv, il supermercato, il pic nic: tutto ma le urne no.