Entusiasmo e malinconia nel Paese delle bandierine




 

Nel Paese abitato da forme parlamentari e politiche tra lo zoologico e il mitologico – il Caimano, lo Squalo, l’Elefante, la Pitonessa, la vecchia Balena Bianca etc.- il Gattopardo rimane l’unica associazione animalesca-letteraria ad invecchiare bene, perpetuandosi nel piacere dell’ammuina di un popolo perennemente affascinato dalla novità, anche quando si tratta di semplice riciclo.
Un meccanismo della disperazione che innesca la continua ricerca del riscatto improvviso: il povero, secondo Bernard Show, è il soggetto più a rischio per il gioco d’azzardo.
Allo stesso modo, nel desolante mondo della politica, da tre decenni gli elettori si innamorano dall’homo novus, ancorché questo sia solo il vecchio che avanza con un buon dito di cerone.
L’ultima esultanza in ordine cronologico riguarda il ritorno di Enrico Letta alla guida del PD, realtà frantumata da correnti che hanno eroso una costruzione granitica nelle intenzioni, ideata per unire la sinistra ma capace di renderla solo più divisa al suo interno.
Il Cesare pugnalato e già sconfitto, fa il suo ritorno dopo la rinfrancante esperienza con gli studenti francesi ricordata a ogni intervista: un pò per il prestigio delle école, un pò perché i nostri studenti latitano, soprattutto se provengono da famiglie nelle fasce più basse di reddito.
L’ennesima storia sbagliata alla quale il PD si è affezionato, preferendo alla lotta politica contro il dilagare delle destre e di un liberismo confuso il fratricidio consumato fra tweet e giornali.
Letta Enrico, nipote di Gianni, “l’uomo che conosceva tutti” secondo Giulio Andreotti, nel Paese del nepotismo non fa certo notizia: nonostante alcuni meriti del Professore siano indiscutibili, il sapore di aristocrazia resta nel palato di una minoranza ancora attenta alla forma.
La maggioranza degli elettori PD risponde però entusiasta, confondendo gli auspici per il nuovo Segretario con la goduria di vedere chi lo spodestò trincerato in querele, autointerviste e annunci di rinascimento nei luoghi dell’orrore di un mondo storto.
Nel frattempo l’ex Segretario, Nicola Zingaretti decide di salutare tutti con una decina di gaffe imbarazzanti da internauta alle prime armi: i post su Instagram dal tono “Conte o voto” prima di cedere al fascino di Mario Draghi, le interviste da Barbara D’Urso, l’utilizzo dei meme confusi con foto ufficiali.

 

 

E quì scatta il secondo meccanismo interessante: la rivalutazione malinconica di un passato ancora immaturo che gli italiani amano gustare come la madeleine proustiana, perdendosi in bias e distorsioni varie con le quali mettere continuamente mani e piedi nella storia, assolvendo cristianamente i protagonisti per parcheggiarli in vista di un fiammante ritorno.
Un meccanismo ben oliato grazie al quale l’ex Premier Giuseppe Conte passa da burattino a statista nel giro di un paio di mesi e l’ultrasettantenne Mario Draghi da nemico dell’Italia anti euro a salvatore della patria unita nel contesto di un’Europa amica.
In tutto questo il ruolo della stampa: il quarto potere che fin dai tempi del conflitto d’interesse modella narrazioni, si fa spalla, impone a sua volta una visione di parte del complesso nel quale dovrebbe incidere con penna e domande.
Un articolato complesso di intelligentia che spesso manca la rima con la coerenza, passando dalle accuse di super comunicazione verso Giuseppe Conte all’elogio del silenzio di  Mario Draghi, nonostante i problemi rimangano gli stessi e le modalità d’intervento simili fra loro: dall’Inps che non paga milioni di lavoratori ai ristori in ritardo, fino alla mancata chiarezza sui dati che regolano la pandemia e le conseguenti norme restrittive.
Ma fra lettori ed elettori l’entusiasmo della speranza piega ogni lotta pregressa e deifica i nuovi personaggi nello sfavillante contorno sbandieratori multicolore.
Il panem et circenses unito in una sola cosa, trasformato dopo lungo sforzo in un grande reality senza fine, nel Godot di Beckett per gli appassionati di teatro.
Adda’ veni baffone, o baffino, o un calvo qualsiasi: l’importante è sperare, farsi trovare sempre entusiasti. La svolta è lì a un passo.

 






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