Favolacce: un film sul disordine emotivo (Super spoiler!)




 

dì Giulia Bertotto (Twitter @GiuliBertotto1) 

 

Favolacce (Fabio e Damiano D’Innocenzo, 2020) è un film sul disordine emotivo.

I padri sono genitori dai modi un po’ machi, ma non sono mai diventati uomini; sono iper sensibili alle offese, tuttavia quasi insensibili ai disagi dei loro figli. Esibiscono le loro pagelle come allo stadio. E forse in quell’unico 9 in condotta c’è già la spia della tragedia, il presagio dell’orrore.

 

L’egocentrismo, in effetti, è spesso tipico di chi è terrorizzato. Le mamme della nostra trama corale sono prive di autostima. Si affidano ai loro uomini ma non si fidano neppure di loro.

 

La storia, almeno fino alla conclusione, non vede svolgersi mostruosità eclatanti o maltrattamenti estremi, ma l’insidiosa incapacità dei genitori di elaborare le emozioni, di organizzare i sentimenti in azioni comunicative che non siano solo di sfogo, ma di interpretazione del proprio sentire per farne un canale di mediazione (più volte in una scena, si sente dire al telefono “non ci sono parole…”).

Gli “altri”, anche coloro con cui abbiamo condiviso sangue  e grembo, ci sembrano  deludenti se, innanzitutto con noi stessi, non siamo in grado di trasformare il fermento delle emozioni in un vino appetibile, il cicaleccio delle sensazioni e dell’orgoglio in una comunicazione efficace e quanto più connessa e radicata alla nostra verità. Occorre assumersi con onestà ciò che si prova, averne coscienza, e non solo “sentirlo”.

Non sono genitori aberranti come accade ad esempio nel film greco Miss Violence, che inizia con il suicidio di una undicenne. Quelli di questa favola nefasta sono genitori che amano i propri figli, ma non sanno reggere le proprie ansie verso di essi.

 



 

Diversi momenti manifestano questo caos nella gestione dell’interiorità: quando la madre di Dennis si dispensa dal dover sgridare il bimbo che ha preparato niente meno che una bomba (espediente grottesco e surreale), e lo manda invece al cinema insieme alla sorella Alessia, scaricando sul padre la faccenda della punizione e dell’educazione.

O la scena in cui il piccolo Dennis si strozza a cena con un boccone: il padre Bruno si arrabbia e sbraita, poi piange sulle cosce della moglie, per poi sgridare il bambino e infine buttare la carne colpevole dell’incidente “che non si può mangiare in pace”, per recuperare presto il suo atteggiamento da duro. Che cosa avrà compreso il bimbo di quanto successo? Si sono preoccupati per lui? Lo hanno sgridato? Ha la colpa di aver fatto spaventare il papà?

L’apice di questi atteggiamenti è quasi insopportabile: nel momento in cui Bruno non si vuole assumere l’atroce responsabilità di vivere quegli attimi strazianti in cui la moglie scoprirà il suicidio dei fratellini, e aspetta – con gli occhi fuori dalla orbite – le sue grida, restando nel letto.

 



 

Essere adulti significa anche mantenere una coerenza tra le parole e il sentire e sostenere con pacatezza e fiducia le proprie emozioni, accompagnando quelle dei bambini invece di riversare su di essi le proprie frustrazioni. Per questo le sensazioni raccolte dal narratore, fino al drammatico epilogo, sono state affidate a un diario: la scrittura è metodo spontaneo di auto chiarimento, pratica genuina di elaborazione di ciò che si prova davanti allo specchio delle parole.

 

Il film pare anche svincolato dalla retorica della spensieratezza fanciullesca e dal mito dell’innocenza dei bambini (innocenza che sarebbe libera anche dal dolore), i quali possono essere dilaniati da conflitti cupi e profondi.

 

La confusione emotiva e l’aridità di aspettative costringono i bambini a farsi adulti prima del tempo, a trascinarsi fuori dal tempo.

Il filosofo non può non notare come questa incapacità di interpretare la propria interiorità e di rendere dialettiche le emozioni, rappresenti anche una crisi filosofica: cioè del senso e dello scopo che oggi l’uomo, in Italia e nell’Europa all’avanguardia, da a se stesso e alla famiglia. La filosofia infatti si è posta diversi obiettivi nella sua storia. Trovare il principio o l’arché, cercare la verità, dimostrare l’esistenza di Dio, dare la felicità. Oggi più che mai la funzione che diamo alla filosofia, l’orizzonte del dibattito filosofico, insieme alle questioni che definiamo “bioetiche”, è quello della chiarificazione dei contrasti e delle insoddisfazioni personali.

 

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