Il rischio del fuori sincrono fra Draghi e la politica




 

 

dì @GuidaLor

 

Emozionato. Rigido. Determinato. Organico.
Mario Draghi si presenta al Senato con un discorso di cinquanta minuti nel quale non lascia spazio a teatralità e note di colore per il ricamo della stampa.
Nella cornice dei Ministri che gli siedono accanto, il Premier incaricato si erge indossando una mascherina FFP2: fatto inusuale e dal forte impatto sociale, in discontinuità con le abitudini dei politici più in vista e in linea con gli ultimi studi sull’efficacia delle chirurgiche rispetto alle varianti covid19.
Un testo marcatamente scritto “da e per” un uomo di finanza più abituato ai tavoli tecnici che non alla piazza, in cui l’eccesso dei numeri rischia di trasformarsi in pantano comunicativo, nell’oratoria rigida sia nel tono che nello sguardo, costantemente rivolto ai fogli e ben poco verso la platea dei senatori.
Apertura dello speech segnata dal formale tributo a Giuseppe Conte e agli ammortizzatori messi in campo in questi mesi, sorvolando con leggerezza diplomatica sul caos INPS e il milione di CIG ancora inevase.
Dopo l’applauso dell’aula, la gaffe sul numero degli attuali ricoverati per Covid19 e qualche incaglio nella lettura di un testo più adatto alle slide che non al discorso ufficiale.
Tutto superato con eleganza e nessun timore dei cronisti presenti, pronti a cogliere ogni sospiro per riempire di fronzoli un piatto dalla consistenza stupefacente.
Il marziano entra così nel campo della politica nazionale, retrocedendo fino al ruolo di portiere per difenderla da una narrazione che la vorrebbe sconfitta da forze esterne e da eventi storici come il piano vaccinale e la gestione del recovery plan.
Un discorso lontano anni luce da quello dei predecessori, tanto nella forma quanto per la sostanza. Scarto evidente con l’empatia comunicativa di Conte o dall’enfasi di Renzi e Berlusconi, in una assonanza possibile solo con la retorica di Mario Monti, seppur orfana di quel cinico umorismo dal sapore vagamente andreottiano di fronte agli imprevisti della diretta televisiva.



 

RIVOLUZIONE SCUOLA, SANITA’ E FISCO: FAVOLA O REALTA’?

 

Al di là dell’aspetto mass mediatico, i progetti di Draghi puntano dritto al futuro, spingendosi in alcuni casi ben oltre le reali possibilità concesse dal tempo limitato della sua presidenza.
Nelle intenzioni di una rivoluzione culturale, sanitaria e fiscale c’è poca imminenza e molta ambizione per gli obiettivi sul lungo termine.
La scuola, come da premesse del meeting CL a Rimini, tema centrale per lo sviluppo del Paese, riscatto delle nuove generazioni, promessa di prosperità e occupazione.
In questo senso, secondo Draghi lo strappo tra formazione culturale e mondo del lavoro chiede di essere risolto con lo stravolgimento dei programmi e l’aggiornamento dei docenti, rafforzando gli Istituti Tecnici grazie ai quali Francia e Germania agganciano in maniera più efficace le richieste del mercato.
Se quella del Premier è una volontà condivisibile ed entusiasmante, il principio di realtà smorza ogni entusiasmo, rimandando alle reazioni di sindacati e comparto scuola, uniti in un fronte già capace di falciare molti suoi predecessori (do you remember Renzi?).
Sulla sanità vale lo stesso discorso fatto per la scuola: intervenire con una nuova architettura del sistema significa investire dove si era tagliato, facendo il conto con le istanze di un settore in perenne emergenza, la ricerca di equilibrio sul debito pubblico e il “NO al MES” dei 5 Stelle.
Più patologie per un solo medico: compito difficile anche per il primario Draghi.
Oltre le incognite che solo il tempo saprà svelare, l’unica certezza riguarda la fine dell’era Arcuri con i suoi “padiglioni-fiorellino”, sostituiti da una partnership insieme agli istituti privati, al fine di “una vaccinazione rapida” e diffusa in maniera omogenea su tutto il territorio.

 



 

Dopo le polemiche di questi giorni non poteva mancare un accenno alle famose “quote rose”, interpretate dal Premier soprattutto come lotta al gap salariale e alla migliore capacità di coniugare maternità e lavoro.
E il pensiero vola subito alla disastrosa comunicazione di Nicola Zingaretti, travolto dalle recenti polemiche per la mancanza di Ministre nella squadra DEM.
Ultima favola per il Paese depresso e demotivato è quella che vorrebbe una riforma del fisco strutturale.
Per Mario Draghi “non è una buona idea cambiare una tassa alla volta” e per farlo cita il caso Danimarca, dimenticando che il marcio delle riforme fiscali ha residenza in Italia, con larchivio pieno di storie travagliate, tempi lunghi e risultati deludenti, in un continuo susseguirsi di lotte trasversali fra interessi opposti e una economia sommersa da record.
In un confronto naturale con “il tecnico” Mario Monti e la sua crudezza nel presentare il quadro di una situazione tragica, il Mario Draghi visto e ascoltato in Senato è apparso molto più salace, costruttivo, ottimista: confidente rispetto alle proprie ricette.
Ma il vero scoop è sempre nel non detto.
E allora chissà quanta fiducia ripone Mario Draghi  verso un classe politica oggi ai suoi piedi e domani, forse, già posizionata altrove: fra Bruto e Godot, in un luogo dove l’attesa è sempre indefinita ma ha un chiaro limite geografico a forma di stivale.

 

 

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