Impantanati nella pandemia, seduti su una bomba sociale
dì @GuidaLor
Mentre gli italiani si appassionano alla corsa elettorale statunitense, la ferita economica e sociale all’interno del Paese, solo accelerata dalla pandemia, continua a infettarsi e marcire in attesa di un intervento strutturale da parte della politica, ancora immersa nel pantano delle misure di contenimento per la seconda ondata del sars-cov2.
II blocco dei licenziamenti fissato al 2021 assomiglia a un cerotto messo sopra un’arteria bucata, quella dell’impresa e del lavoro dalla quale fuoriescono fiotti di disperazione sopiti solo dall’attualità della pandemia.
Singulti che recentemente hanno macchiato le cronache con qualche manifestazione violenta e scomposta targata destra estrema ma non per questo eventi ridimensionabili nelle preoccupanti premesse di una disperazione mista a invidia sociale e frustrazione per l’ignoto avvenire.
Rispetto ad agosto 2019 l’Italia ha perso mezzo milione di occupati, recuperando per lo più attraverso il lavoro stagionale qualche migliaio di lavoratori oggi di nuovo a casa per la fine dell’estate e a motivo delle nuove chiusure decise dal Governo.
A questo dato, certamente accresciuto dall’impatto della pandemia, bisogna sommare un numero ancora non quantificabile di aziende che chiuderanno a breve, orfane del decisivo treno dell’innovazione perso negli ultimi venti anni e inabissate all’interno di un mercato sostanzialmente fermo per tre quarti del 2020.
Ciò nonostante, negli ultimi mesi il conto corrente degli italiani si è arricchito di 125 miliardi di euro.
Difficile definire chi sia il risparmiatore tipo ma è certo che ad arricchirsi non sia stata tutta quella low e middle class che ha vissuto o vive ancora grazie all’80% della cassa integrazione.
Gli investimenti sono fermi e così i consumi.
Nel contesto recessivo globale, mentre l’Europa consiglia l’introduzione di un salario minimo e la Germania lo fissa a 10.4 euro l’ora, in Italia14 milioni di persone lavorano con contratti scaduti, aspettando che Governo, Confindustria e Sindacati riescano a trovare un punto d’incontro.
In attesa di evoluzioni, il salario dei dipendenti italiani è finito sotto la lente d’ingrandimento della Fondazione Di Vittorio, ovvero l’istituto di ricerca della Cgil, che registra come, al netto della tassazione e del costo della vita, nel nostro Paese “emerga una stagnazione salariale di lungo periodo, con le oscillazioni più contenute e che il salario lordo medio a livelli ben inferiori rispetto alla media degli altri Paesi e di poco superiore solo a quello spagnolo”.
L’Italia risulta l’unico grande Paese dell’Eurozona dove il livello salariale precedente la crisi del 2008 non è ancora stato recuperato, con un salario medio che si attesta a circa 30mila euro lordi annui, contro i 42.421 dei tedeschi e i 39.099 dei francesi.
Nel composito panorama nazionale, senza dimenticare lo scarto fra l’Italia più ricca (Nord-est) e quella più povera (provincia di Vibo Valentia), dove il reddito medio è di 13.000 euro annui, crescono i contratti non standard (determinati, part time, discontinuo) che secondo la Fondazione Di Vittorio raggiungono una disparità di trattamento intorno ai 30.000 euro rispetto a quelli standard (indeterminati).
A completare un quadro allarmante, gli ultimi studi della Commissione Europea prevedono per il 2021 un aumento della disoccupazione che nel nostro Paese dovrebbe passare dall’11% attuale all’11.6%, colpendo soprattutto il settore dei servizi.
Uscire rapidamente da una situazione “incancrenita” nel corso degli ultimi due decenni è impensabile, nonostante l’incoraggiante rimbalzo del PIL Italia nei mesi estivi e la speranza che nel 2021 il vaccino contro il sars-cov2 sarà disponibile almeno per la fascia di popolazione più anziana.
Le certezze sono poche. Fra queste c’è la necessità di uno sforzo legislativo monstre.
A fronte di un debito pubblico schizzato oltre qualsiasi soglia psicologica e prossimo al 160% del PIL, i settori di intervento più urgenti sembrano essere quattro:
- abbattere il costo del lavoro dando respiro alle imprese e riallineando il salario medio degli italiani a quello dei partner europei più prestigiosi;
- agevolare le assunzioni degli under 35 attraverso incentivi corposi;
- regolamentare la foresta contrattuale costruita negli anni;
- ridare slancio all’economia attraverso il recovery plan.
Già il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) presentato dall’Italia a settembre per accedere al recovery plan: basteranno gli auspici in esso contenuti? E quando torneremo a parlarne?
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