INPS e MEF: in Italia 210 miliardi di sommerso. Un popolo perbenista che ruba, piange e accusa.
Alla base dell’odio che si manifesta sempre di più in Italia, in una nazione piena di “haters” all’attacco del più debole e delle minoranze, con un popolo che adora ed incita sempre più alla forca, suona bene come monito ma, soprattutto, come spiegazione delle dinamiche sociali, una frase di Groucho Marx che, citando W. Allen, è dovuta in origine al genio di Freud, essendo in relazione con l’inconscio: “Non vorrei mai far parte di un club che conti fra i suoi iscritti persone come me”
Da decenni, il popolo italiano non sopporta più la propria classe politica. Accusata di ruberie, abusi, corruzione, tanto da essere scalzata da un Movimento popolare, quale sono i 5 Stelle, pur di porre fine ad un sistema capace di superare se stesso solo nel limite della propria indecenza.
Sullo sfondo di questa rinnovata voglia di onestà, parola abusata ormai ovunque, INPS e MEF hanno diffuso i dati sull’economia sommersa in Italia, pari a 210 miliardi di euro, per mezzo della quale si registrerebbe – in un mondo ideale – un aumento del PIL pari al +12,5%.
La fotografia è quella di un Paese di ladri, dalla base ai suoi vertici.
Una immagine che non può e non deve essere dimenticata da nessuno, soprattutto mentre si punta il dito verso chiunque altro.
Dalle statistiche diffuse da INPS e del MEF, l’Italia è ufficialmente un Paese povero:
- il 45% dei contribuenti dichiara fino a 15 mila euro annui, pagando solo il 4% dell’Irpef totale;
- il 49,7% dichiara fra i 15 ed i 50 mila euro, pagando il 56,8% dell’Irpef totale;
- il 5,3% dichiara più di 50 mila euro annui, pagando il 39,2% dell’Irpef totale.
Ci sono poi 12,9 milioni di italiani che non pagano l’Irpef, ossia il 31,3% del totale dei contribuenti, a causa di un reddito troppo basso.
A fronte di questi milioni di indigenti, però, le famiglie hanno una ricchezza finanziaria quantificata in 4.400 miliardi di euro ed una immobiliare da 11.000 miliardi.
Prima di ingiuriare l’immigrato che ruba – formulando leggi che consentono di sparare agli intrusi come in una caccia alla quaglia – prima di accusare la politica tutta di ruberie, prima di scatenare guerre contro i pubblici impiegati, prima dell’affermazione di ogni forma di supremazia morale, gli italiani andrebbero messi di fronte a questi numeri, quelli che parlano della loro evasione fiscale, del lavoro nero, del furto continuo ai danni dello Stato, in una abitudine che li riguarda direttamente, nella maggior parte dei casi, da protagonisti.
La politica tutta, da parte sua, si guarda bene dal muoversi in favore della legalità fiscale: promettere più controlli ad un popolo di evasori significa perdere voti preziosi.
La Guardia di Finanza fa quel che può, quando può, laddove non viene coinvolta da una corruzione sistemica. Le mafie spadroneggiano in tutto il Sud, avendo creato un’economia parallela più florida di quella legale.
L’Agenzia delle Entrate è un mostro di burocrazia capace di far impazzire i cittadini, temuta più per i suoi sistemi kafkiani che non per il suo ruolo di controllo serrato.
In tutto questo, in uno studio di BlackRock, che ha coinvolto 13 nazioni, gli italiani applicano il vero teorema del “chiagni e fotti”, dichiarandosi “i più preoccupati dalla loro situazione finanziaria personale”. Peccato che i Suv viaggino a tutto gas per le nostre strade, i porti siano piene di barche italiane, i consumi, seppur bassi, ci sono e riguardino soprattutto il mercato del lusso.
L’Istat ha certificato che gli italiani dichiarano 100 euro, ma ne spendono miracolosamente 114, il 14% in più.
In sostanza? Siamo un popolo di ladri, ma continueremo ad accusare questo o quello pur di non guardarci allo specchio.