La Calabria è governabile?
C’è una lunga fetta del Paese abbandonata dallo Stato e sottomessa al giogo della ‘ndrangheta, associazione mafiosa fra le più potenti al mondo, sfuggita alle caricature delle serie tv grazie ai suoi metodi d’azione, alla fedeltà dei suoi associati, ai volti irriconoscibili dei suoi mille boss.
A vantaggio dell’affermata famelicità che si perpetua in quella terra e che da quella terra è partita per conquistare il mondo in giacca e cravatta, l’opinione pubblica tace, la politica non si interessa, e la Calabria rimane figlia di nessuno.
Stando ben lontani dai luoghi comuni e molto vicino ai dati, la regione è in mano alle ndrine che succhiano le pompate di liquidità di Governi abituati a drogare un territorio in cui si è alzata bandiera bianca: un figlio tossico cui non si nega la dose quotidiana purché se ne risparmino i lamenti.
La sconfitta dello Stato in Calabria non è un punto di vista.
Essa è ben riconoscibile nella lunga sequela di arresti e nei provvedimenti di scioglimento di consigli comunali ed enti in base all’ex art 143 del Testo Unico sugli Enti locali, che disegnano una rete capillare di controllo del territorio.
Nomi eccellenti, reati sempre uguali: concorsi esterni in associazione mafiosa, scambi elettorali politici-mafiosi, abusi d’ufficio.
Dal 1991 ad oggi, la Calabria è una delle regioni con più consigli comunali sciolti per infiltrazioni della criminalità organizzata: 123 provvedimenti di cui 8 annullati e 22 archiviati.
Fra questi, spicca il caso del capoluogo di provincia, Reggio Calabria, con Giuseppe Scopelliti, già Presidente della Regione a partire dal 2010, condannato a 4 anni e 7 mesi per un abuso d’ufficio commesso ai tempi in cui era Sindaco della città.
Risultato: commissione straordinaria per la reggenza della regione fino al 2014, sostanziale immobilismo legislativo, mancanza di programmazione e di interventi pubblici.
Venendo all’attualità più stringente, l’arresto del Presidente del Consiglio Regionale, Domenico Tallini, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e scambio elettorale politico- mafioso, segue quello dell’ex Consigliere Regionale Domenico Creazzo, o di Alessandro Nicolò, nell’agosto 2019, entrambe nell’orbita del partito Fratelli D’Italia.
Una brutta storia di infiltrazioni, corruzione, voti comprati o barattati, istituzioni piegate a un potere troppo forte che ha tanti protagonisti e un solo file rouge: la debolezza dello Stato davanti all’indipendenza del male.
Calabria sempre più sinonimo di terra dimenticata, dove il pasticcio dei Commissari alla Sanità fa il conto con i pochi casi di covid19 che hanno costretto le strutture ospedaliere già fatiscenti all’angolo, tanto da dover reclamare l’uomo di punta dell’ONG Emergency, Gino Strada, per partire in tutta fretta con la costruzione di ospedali da campo, gli stessi messi a sostegno delle popolazioni nel terzo mondo.
Un luogo dove non c’è lavoro, si registra il reddito medio più basso d’Italia (provincia di Vibo Valentia 13.300 euro) e le eccellenze scappano: chi può, come può, verso il settentrione o fuori dal Paese.
Una Regione che oggi non ha Presidente a causa della prematura scomparsa di Jole Santelli; non ha il Commissario alla Sanità; non sembra avere futuro se il più grande partito d’Italia insieme alla Lega, ovvero il PD, candida un ottantenne per guidare la riscossa.
Di fronte ai numeri e agli eventi che compongono la storia recente della regione, la domanda è drammatica e grottesca allo stesso tempo: la Calabria è governabile come fenomeno dell’essere di un Paese democratico o dovremo continuare a viverla soltanto quale fenomeno estetico, nei video clip milionari e favolosi commissionati per attirare il turismo?
Immagine https://pixabay.com/it/photos/pizzo-tropea-calabria-rock-4152990/