La mossa del padrone: blocco licenziamenti e lockdown
La cabina di regia – nome altisonante per riassumere un ristretto gruppo di decisori politici – si è espressa a cavallo fra un gay pride e una partita della discussa nazionale di calcio, in merito allo sblocco dei licenziamenti fissato al 1 luglio.
Quella che il Sole 24 Ore, Testata di Confindustria, definisce “la vittoria della linea Draghi-Orlando” è ad oggi la sconfitta della rappresentanza tout court e l’ennesimo passo verso il baratro sociale di un Paese devastato dal far west occupazionale, creato dal berlusconismo e dall’incapacità della sinistra di comprendere il mondo lontano dallo stantio dei quadri di Berlinguer, morto più volte dal 1984 ad oggi.
COMPLESSITA’ SOCIALE E LOCKDOWN
La complessità del provvedimento lascia ancora per qualche ora – in attesa del CdM del 30 giugno – spiragli sull’unica soluzione credibile all’alba di un nuovo, futuribile rallentamento dell’economia mondiale, dovuto alla cavalcata della Variante Delta: ovvero il blocco totale dei licenziamenti fino a ottobre 2021, periodo nel quale potremo davvero capire se il Covid sarà stato sconfitto o costringerà la società a una nuova ritirata.
La prima ipotesi sin qui vagliata muove nella direzione di una selezione delle categorie: dalla moda al tessile e all’abbigliamento, il blocco licenziamenti verrebbe prolungato di tre mesi, con ulteriore CIG Covid a disposizione, associando a questi settori gli 85 tavoli di crisi aperti presso il Ministero dello Sviluppo Economico.
Altra via – l’unica che meriterebbe un minimo di plauso – si baserebbe sul prolungamento del blocco per le aziende che abbiano utilizzato tutta la CIG Covid messa a disposizione da marzo 2020: in sostanza non si agirebbe per settori ma sulle singole realtà.
Ovviamente la vittoria delle destre si paleserebbe con la prima soluzione, sbattendo in faccia ai morenti Sindacati la teoria Brunetta per la quale “il lavoro torna al mercato”, come una prostituta nana si ripresenta sulle strade della periferia umana verso la quale la politica continua a chiudere gli occhi: tra stipendi da fame, contratti ridicoli etc. etc.
LA NECESSARIA RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI E IL CAOS INPS
Come sempre la complessità non abita le nostre camere dei bottoni.
Qualunque sia la decisione che verrà presa sul lavoro, la necessità di riformare gli ammortizzatori sociali evade ogni seria discussione, trasformando le numerose, differenti dinamiche in una contrapposizione ideologica sconcertante: Confindustria e destre da una parte, singolarità sindacali e disgregazione del 900′ dall’altra.
Se sulle difficoltà nel pagamento delle CIG Covid da parte di INPS i competenti e la stampa chiudono gli occhi dal giorno dell’addio di Giuseppe Conte, in merito allo scenario più angosciante – ovvero un nuovo, possibile lockdown autunnale dovuto alla variante-, il Governo finge cecità completa, forse di origine scaramantica.
Perché lo scenario peggiore sarebbe devastante: sbloccati i licenziamenti su larga scala e con un lockdown fra ottobre e novembre dovuto alla V.Delta, il quadro sociale dell’Italia rischia di essere la Guernica di Picasso.
Una nuova mazzata all’economia nel momento della possibile, terza ripresa, colpo finale sulla vivacità del lavoro e per tante realtà produttive già oggi con l’acqua alla gola.
Prevedere una cassa disoccupazione più corposa nei prossimi 12/24 mesi risponderebbe quindi alla realtà di un Paese dove il lavoro latita così come la formazione per i disoccupati, in attesa di un serio piano di rilancio umano e professionale, ancorché economico.
In via della competenza però certi discorsi non si possono fare perché ogni problema si risolve “tornando al mercato” come dice Brunetta, un po’ come la scrofa torna a rotolarsi nel fango e il cane a mangiare il suo vomito.
E allora in attesa del CdM del 30 giugno non resta che aspettare una soluzione di compromesso che soddisfi le famose “parti sociali”: anche se da una parte c’è un gigante come Confindustria e dall’altra un gruppo nutrito di sindacalisti allo sbaraglio, un mondo del lavoro frantumato, un costante stato da “si salvi chi può”.
E’ l’Italia bellezza: perenne “tiraggiro” verso la porta della complessità, che finisce sempre in curva per colpa “degli altri”, chiunque essi siano.