Le piazze per Floyd e la smemorata vanità di massa.
La statua di Edward Colston, schiavista e filantropo, si ergeva nella piazza di Bristol dal 1895. Cosí è stato fino al 7 giugno 2020, giorno in cui un gruppo di ragazzi all’interno del corteo di protesta seguito al caso George Floyd, ha deciso di abbatterla in favore delle telecamere.
Lo stesso giorno, a Londra, cuore del Regno Unito, il memoriale di Winston Churchill presso Westminster veniva imbrattato con scritte irriguardose verso l’uomo simbolo della lotta al nazifascismo.
Ma è il popolo della regina a essere diventato improvvisamente iconoclasta, oppure, facendo la somma di tutte le altre manifestazioni viste in giro per l’Europa, è cambiato il modo di essere delle piazze, e, quindi, della società?
Se gli slogan sono sempre gli stessi, virali già prima dell’avvento di internet, vacui o terribilmente aggressivi per la frustrazione di chi da corpo alla propria opinione, nelle piazze non si erano mai viste cosi tante testimonianze di puro esibizionismo, di “io c’ero” da sbandierare con orgoglio vanesio, tipicamente social.
L’Europa, pur con tutti i suoi limiti, non consente nemmeno per un secondo il paragone con la politica oltreoceano di Donald Trump.
In questo senso, le manifestazioni pro Floyd, o meglio, pro giustizia, libere di occupare le capitali europee in barba a ogni prevenzione sanitaria raccomandata, sono esternazioni che vogliono esprimere vicinanza alla rabbia di parte del popolo americano ma cozzano terribilmente con lo scarso interesse verso la più vicina tragedia dei migranti, che pure nel nostro continente, e in particolare in Italia, ha tenuto banco solo su i social, anche nel discusso periodo salviniano e dei decreti sicurezza, ancora lì, nonostante le promesse e l’indignazione comune.
Va detto che Italia il caso Floyd ha attecchito con minor vigore: le manifestazioni viste a Roma o Napoli (1.500 persone) non sono paragonabili alle folle oceaniche registrate altrove. Ma se non esiste “una piazza”, perché ognuna ha le sue particolarità, c’è sicuramente un modo corale di manifestare che non è più quello di un tempo.
Oggi la piazza è diventata un insieme di appuntamenti nati sulla rete e tradotti in una concentrazione di fotografi a caccia dei protagonisti, ovvero dei manifestanti più coloriti e scalmanati, fiumi di persone con cartelli che rimandano paradossalmente al linguaggio digitale, in un cortocircuito totale con la realtà, sempre vissuta sulla scia del momento, sul momento, giá vecchia e dimenticata il momento dopo, almeno per quel che ci riguarda come italiani.
Se fare un’analisi della società europea attraverso gli eventi visti in questi giorni sarebbe sbagliato e fuorviante, il dato che emerge è quello di una radicalizzazione generale delle masse – e spesso della politica – nei confronti dei problemi che, di volta in volta, investono il mondo e il continente.
Movimenti che cercano la democrazia e organizzano manifestazioni oceaniche, non possono consentire il libero sfogo registrato nel Regno Unito, non devono piegarsi alla violenza interna di chi sfonda vetrine e ruba nei negozi approfittando della confusione.
In questo senso, si palesa tutta la debolezza dei social, di internet e della sua capacità di unire, in una narrazione lungi dall’essere paritaria e democratica poiché intraducibile nel concreto di un atto politico organizzato laddove non sia minimamente piramidale.
Le piazze viste in Europa non hanno una testa, non hanno una coda, non formulano soluzioni precise verso criticità specifiche: protestano, urlano, minacciano, cantano, si mostrano ma sono incapaci di governare se stesse, rendendosi quindi inutili rispetto alle richieste che vorrebbero portare avanti.
Problemi antichi tornano a galla per mezzo di sistemi nuovi, accolti da una societá confusa e maniaca del protagonismo. Il video dell’arresto di Floyd è stato una miccia, ma la bomba che innesca non ha piloti pronti a sganciarla, non può spaventare chi è abituato agli insulti come Trump e sarà ben inutile se non sarà organica e martellante, resistendo all’usura del tempo (killer n.1 di tutte le proteste nella società moderna), evitando di mischiarsi con atti delinquenziali, protagonismi social e coriandoli vari per rendersi più solenne ai suoi stessi occhi.
In Italia tutto passa. Vedremo se negli USA che, nonostante tutto, tanto ci hanno insegnato, la protesta saprà cambiare la politica.
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