L’inutile bonus Natale. Tanti negozi faranno la fine del lampionaio e non possiamo farci niente
Il cash back da 150 euro, già ribattezzato “bonus natalizio”, ipotizzato dal Governo per salvare gli incassi festivi dei negozi italiani, è la risposta del nonno che fra un mese donerà al nipote un falcetto per tagliare il grano non riuscendo a capire la play station o il valore dello smartphone.
Quello della pandemia passerà alla storia come un anno epocale per ovvi motivi.
Ciò registrato, il cambiamento delle abitudini di acquisto dei consumatori e la crisi degli esercizi commerciali fisici, così come tanti altri mali nazionali smascherati dalla crisi sanitaria, sono soltanto il frutto caduto dall’albero dell’indifferenza e dell’ignoranza dimostrata per troppo tempo da dirigenze e imprenditori.
Incapaci di comprendere le evoluzioni di un mondo che annunciava con largo anticipo già nei primi anni duemila i suoi cambiamenti, le associazioni di categoria lamentano la desertificazione commerciale in atto, prendendosela un giorno con il Governo e l’altro con il virus.
E così, mentre il covid non ascolta commercianti nè politica, l’esecutivo punta tutto sul “buon cuore” degli italiani con l’ennesimo aiutino a pioggia, dalle modalità ancora incerte e dai risultati che rischiano tanto di assomigliare ai precedenti illustri. In che modo un bonus possa essere d’aiuto alla crescita organica di un settore come quello del commercio al dettaglio è davvero difficile da capire.
Poco importa che secondo l’Istat ci siano 97 aziende su 100 appena agli albori del cambiamento tecnologico richiesto dai tempi.
Una trasformazione lenta e non omogenea, nella quale sono coinvolte principalmente le aziende del nord con più di dieci dipendenti, in misura del 77,4%, lasciando i piccoli esercizi, sia produttivi che commerciali, agganciate a vecchi metodi, vendite su base relazionale, rendite e consumo del credito sempre più residui e complessi da ottenere.
E’ tutta colpa di Amazon, così come è tutta colpa della pandemia. La retorica cerca di venire incontro a quanti si ostinano a non capire le evoluzioni della storia. Nel mentre si battibecca sul nulla, l’istantanea 2019 dell’Istat ci dice che solo il 3.8% delle aziende italiane sono “digitalmente mature”.
A partire dalle librerie, falcidiate dalla concorrenza di siti come amazon o ibs, soltanto nelle ultime settimane si è attivato qualche progetto che superi le lamentele e cerchi di rappresentare una concreta risposta al cambiamento: il sito “bookleader” è uno di questi.
Le librerie indipendenti hanno finalmente deciso di riunirsi con in una sigla che assicuri lo stesso guadagno di una vendita fisica, seppure il costo per la spedizione risulti leggermente superiore a quello dei noti concorrenti.
Ed è proprio in casi come quello di bookleader che l’immobilismo di decenni presenta il suo conto, nell’abitudine ormai consolidata dei consumatori rispetto ai giganti del web e nella difficoltà di pareggiare un’offerta collaudata, un vantaggio sia logistico che di visibilità difficilmente colmabile in poco tempo.
Un ritardo che non sarà diminuito dal “bonus natalizio” che segue il “bonus mobilità”, il “bonus pc”, il “bonus scuola”, “il bonus vacanze”: nella serie infinita di stimoli messi in campo dai Governi italiani per far sopravvivere corpi morenti dell’economia.
Iniezioni di liquidità fini a se stesse ed incapaci di cambiare il quadro generale di un commercio al dettaglio sprofondato per colpa delle vecchie mentalità bottegaie di tognazziana memoria.
Che fare quindi con i negozi d’Italia? Senza troppa poetica la risposta è dentro a tante altre domande, simili e rintracciabili negli archivi della storia: “Che fare quindi con i minatori d’Italia? E con i caldarrostai? E con i lampionai? E con i casellanti delle autostrade?” E’ il progresso, baby.
immagine https://pixabay.com/it/photos/archivio-pile-ripiani-azionario-5619201/