L’oggetto della politica, la spartizione delle spoglie: da Vienna al Conte Ter

In questi giorni di trattative, chiamate e incontri per imbastire il nuovo Governo, tornano utili le memorie scritte da Gentz dopo il Congresso di Vienna del 1814, nelle quali leggiamo come dietro alle grandi frasi e ai balli “si nascondesse l’irriducibile oggetto della politica, ovvero la spartizione delle spoglie.”

 

In questo senso, il tavolo delle trattative per il Conte Ter è la riproposizione distorta di un Congresso di Vienna nel quale non vengono decise le sorti del mondo dopo Napoleone ma ci si accapiglia per i soldi del futuro Recovery Plan e per la sua sfera di potere.

 



 

Nelle foto dei tavoli riuniti in queste ore campeggiano, come nel 1814, ancora arazzi e statue, la solennità dell’incontro, la malizia dello spiffero.

Ciò che manca è la figura di statisti capaci di mascherare le loro reali intenzioni, in una pochezza imbarazzante che rabbrividisce nel paragone con l’arte del trasformismo di Talleyrand o nella furbizia di Metternich, oppure nell’inflessibilità del Duca di Wellington.

Nei salotti di Vienna arrivano monarchie esaurite, abilmente manovrate dal francese Talleyrand che annusa e sogna con anticipo la loro fine. La monarchia spera di restaurarsi affermando diritti e concessioni al popolo: è l’inizio della sua fine.

Al tavolo di Roberto Fico giungono partiti al collasso, dal Movimento 5 Stelle a Italia Viva, in cerca di un riscatto attraverso la montagna di soldi del recovery plan. Nessun Talleyrand, qualche tentativo mal riuscito di Napoleone toscano, uno Zar come Zingaretti a governare lande politiche ormai più desolate e desolanti della Siberia.

In questo quadro, la smania di intervenire sezionando l’enorme torta del recovery con più coltelli, rischia di segnare il tramonto definitivo non solo di queste realtà politiche ma anche delle prospettive di “Rinascimento” o “Resilienza”, ampiamente promesse nei duri mesi di pandemia che ci stiamo lasciando alle spalle e in quelli ancora più difficili avvenire.

L’impressione è che ai vari tavoli partecipino solo La Fayette, generali e colonnelli che concepiscono l’immagine come unico veicolo della politica: dalla povertà sconfitta su un terrazzo ai post social d’archivio con i potenti della terra, manca una foto d’insieme, il disegno comune di una classe dirigente organizzata di fronte alla prossima devastante crisi economica e sociale, dalla quale si pensa di poter fuggire nuovamente con qualche post social, la distrazione di massa, lo sbandieramento del risultato parziale.

 



 

Quella spesso definita come unità d’intenti, pur non rappresentando una garanzia di successo,  in politica è sempre stata l’unica via possibile per tracciare un percorso credibile.

Ciò che emerge in queste ore, è invece l’insieme dei singoli interessi spesso in contraddizione fra loro.

Senza scendere in particolari che il ritmo frenetico di questi giorni rischia di bruciare in fretta, potenziare il reddito di cittadinanza come richiesto dai grillini limita la capacità di ogni futuro intervento per stimolare il mercato del lavoro, in una intenzione non meglio specificata da PD  e IV.

Pur di evitare il voto si perviene però a un compromesso al ribasso che consenta ad ognuno di apporre il proprio marchio, la firma sul provvedimento che soddisfi l’elettorato di riferimento. Alla faccia del futuro, condannati ad una battaglia perenne fra loro al di là di ogni bene comune.

Tornano allora utili le sferzanti parole rivolte da Chateaubriand a Talleyrand, accusato di scarsa capacità decisionale insieme al nuovo corso della politica francese post napoleonica: “Siglano avvenimenti ma non li fanno.”

 

dì @GuidaLor






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