L’opposizione al Santo di Città della Pieve




 

dì @GuidaLor

 

Al grido di “nessun uomo sia solo al comando”, nel corso degli ultimi anni la stampa ha fortemente attenzionato ogni mossa dei nostri aspiranti leader in fuga: da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi, da Matteo Salvini all’ultimo Giuseppe Conte.
Semplice storia da mettere agli archivi per un consesso di editori che, a turno, hanno cercato di svolgere il ruolo di “mastini della democrazia” prima di restare folgorati sulla via di Bruxelles dall’ex Presidente BCE, Mario Draghi.
Sulla morbosità dell’informazione attorno alla vita del Premier incaricato abbiamo già scritto, registrando l’ironica risposta dei social attraverso gli aggregatori  #DraghiFaCose, #QuellaVoltaCheDraghi #DraghiSantoSubito etc.
Allo stesso tempo e con stupore, le ultime giornate sono state contrassegnate dagli scivoloni imbarazzanti delle testate più autorevoli: da Repubblica a caccia di ogni particolare sulla quotidianità di Draghi, al Corriere della Sera voglioso di rivalsa e travolto da critiche trasversali per un disgustoso articolo sul grillino Vito Crimi, fino a “La Stampa” di Massimo Giannini, con il contestato pezzo sul figlio “prodotto” da Giorgia Meloni.
Nell’operazione “Lazzaro” della nostra politica, fra l’euforico e il burrascoso, si inserisce l’intervista rilasciata a Fabio Fazio dall’ex Presidente USA, Barack Obama, re indiscusso del dilagante pop mondiale che ci ricorda “aggratis” come la democrazia non possa mai essere espressione tribale dell’uomo forte.
Parole condivisibili, capaci di mandare in sollucchero i suoi fan, a partire dal Commissario Europeo, Paolo Gentiloni, completamente dimentico di una situazione nella quale “l’uomo forte” ce lo siamo andati a prendere a casa, strappandolo dalla serenità della vita agreste in quel di Città della Pieve, tanto per salvare baracca e burattini. Tanti burattini che secondo le cronache scritte in tempi non sospetti sarebbero passati spesso a fare visita all’ex Governatore.

 

 

 



 

 

La mongolfiera di Mario Draghi adesso è in partenza.
Inizialmente mal vista da larga parte di una politica sconfitta per la seconda volta in dieci anni, si è presto riempita di passeggeri avveduti che sventolano i biglietti con orgoglio, salutando un elettorato sempre più confuso e imbarazzato da rappresentanti persi in una costante piroetta logica atta a giustificare azioni disdicevoli fino a un  momento prima.
Il drago, a quanto sembra, osserva stupito ma non per questo limita la spinta della sua fiamma per lanciare il carico a bordo verso la modernità, il futuro, l’Europa, in un processo di  imitazione che, dalle regole sull’immigrazione alla fiscalità, è difficile capire per quale motivo non sia stato applicato fino ad oggi.
Il sostegno intorno alla sua figura deificata è composito e delicato, consistente ma volubile: una mano sul motore e una sulla cesta per i possibili scossoni causati da cieli in burrasca e passeggeri capricciosi.
In tale contesto, con la mongolfiera che si allontana e la maggior parte del pubblico festante, solo pochi si sono accorti del pericolo di non avere più una opposizione politica a terra, ad eccezione dei Fratelli D’Italia con le loro dubbie nostalgie e gli utopici sogni di autarchia economica.

 

 



 

 

Un problema enorme non tanto per la democrazia in sé – sulla quale si continuano a scrivere fiumi di ammonimenti- quanto per lo stesso lavoro di Draghi che potrebbe trovarsi a governare una maggioranza costantemente litigiosa o silenziosamente piegata al programma condiviso, disamorando del tutto elettori già nauseati dallo spettacolo di questi anni.
In attesa di un programma chiaro e definito, le ipotesi di future crisi si moltiplicano al ritmo delle incognite che aspettano il nuovo esecutivo.
Per esempio viene da chiedersi quale voce potrà alzare il PD quando le misure di qualche tecnico confindustriale prestato alla politica si scontreranno con i desiderata dei sindacati.
E quando il ritorno sulla scena dei migranti, la cui tragedia è sparita dai giornali causa pandemia, busserà di nuovo all’ingresso dei nostri porti, come si comporterà Matteo Salvini, oggi leader in formato europeista, domani chissà.
E ancora in merito alla nuova fiscalità, la guardia d’onore di Silvio Berlusconi cosa avrà da dire?
E sul debito per il quale da quì al 2023 dovremo pure intervenire, chi avrà voglia di alzare il dito contestando il conto da pagare?
Queste ed altre domande troveranno risposta nel futuro a medio termine.
Nel frattempo è utile notare come ogni entusiastica prospettiva dei draghetti contempli soluzioni immediate, dal piano vaccini al milione di disoccupati generato dalla pandemia, in un clima di vero e proprio festeggiamento tribale attorno al totem del nuovo uomo forte.
Nessuna opposizione alla destra del Padre.
Alla faccia di Obama e del bicarbonato di sodio.

 



 



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *