L’ora esatta in Italia, letta su un Flik Flok
Dí Lorenzo Guidantoni
Twitter @GuidaLor
“Il salone di bellezza in fondo al vicolo
è affollatissimo di marinai
Prova a chiedere a uno che ore sono
E ti risponderà “non l’ho saputo mai”
Via della Povertà, Bob Dylan
Non mi sono mai piaciuti gli orologi.
Per la prima comunione mi regalarono un Festina, pataccone di poco valore in pieno stile anni 90′, gingillo pesantissimo che solo per un undicenne poteva sembrare il pezzo forte da mostrare alle feste.
Mai indossato.
Mi risultavano poco simpatici sia l’oggetto in se che la marca: svizzeri che volevano rubare il titolo a Pantani con una squadra di ciclisti dopati.
I protagonisti di questa breve, triste storia però non sono né gli orologi né gli svizzeri, né il Pirata.
Il punto è che l’orologio, al di lá del suo valore economico e della presunta bellezza estetica, rappresentava un simbolo per un ideale del quale comprendevo il significato: la solenne (per gli altri) ora del corpo di Gesù Cristo che avevo poc’anzi ingerito.
Il ragazzo con il Rolex, all’anagrafe Roman Pastore, in questo senso è diventato come il mio Festina: senza essere svizzero, senza andare in bici, senza essere la comunione, è diventato il simbolo di un ideale che inizia ad avere tutti i connotati di una fede pericolosa, come lo sono tutti gli estremismi.
Il ragazzo si farà – anche perché non ha le spalle strette – ma se proprio lo volessimo definire “colpevole” di qualcosa, come stanno cercando di fare in molti, dovremmo prima tirare giù una lista lunghissima di mandanti che parte dal consumismo degli anni 60′ e arriva fino a Bim Bum Bam con le sue pubblicita di giochi per bambini ricchi (ma chi ha mai avuto un “Emilio è meglio”, andiamo, su.)
Per questo dovremmo andarci piano con lui e “forte” con chi lo cresce politicamente denudando la realtà per oggettiva convenienza elettorale.
In cosa crede il giovane Roman io non lo so perché il Flik Flok mi dice solo l’ora esatta ma dubito che anche un Piguet sappia dirti chi sei.
Però, perché c’è sempre un però, nell’impegno del ragazzo basato su un modello – a mio avviso sbagliato e triste- riscontro un pericolo per il futuro assai imminente. E con me, da quel che si legge, altre centinaia di migliaia di italiani.
E’ questo l’unico motivo per il quale un anonimo ragazzo candidato in un pur grande municipio della Capitale, è riuscito a scalare le classifiche delle notizie in queste ore. Non c’è alcuna invidia sociale nel suo Piguet ma il terrore di vedere un vuoto di idee dietro la miglior scocca.
Perchè dietro quegli ingranaggi in tanti prevedono il rischio di una società del domani che non contempli in alcun modo gli sconfitti o meglio, come ci hanno insegnato i nostri genitori politici ameri-cani (e ribadiscono con le loro intenzioni i cattivi maestri nostrani) un mondo in cui lo sconfitto è perso. L’ultimo paga da bere per tutti.
Anche se è proprio in questo modo che quel Gesú Cristo sventolato da tanti come una bandiera, un valore o anche solo una tradizione culturale comoda alle urne, beh sì, proprio lui soffrirebbe a sentire certe oscenità.
E se alcuni atteggiamenti dell’ormai famoso Roman (selfie, commenti sul “lavoro” che ancora non conosce come da curriculum), sono solo il frutto di un indottrinamento alla vanità voluto dal mercato, in un fenomeno che riguarda milioni di ragazzi, è proprio agli educatori che li forgiano che dobbiamo rivolgerci.
Perché – per quel che riguarda il piano politico- insegnare che tutti i mali di un Paese dove ogni anno si registrano 150 mld di economia sommersa di cui 40 mld di IVA evasa, siano riconducibili solo ai poveracci o ai pochi furbi del RdC (costo 8 miliardi) significa non insegnare nulla della complessità e della ricchezza: che è sempre un onere e va pagata come tutti gli onori anche quando la si è raggiunta o ereditata (cosa ben diversa).
E a questo punto Roman esce di scena e fanno il loro ingresso in campo i cattivi maestri con la disgustosa conduzione narrativa di un dibattito che ha impegnato mezza Italia per giorni, lasciando ai soliti analfabeti funzionali l’impressione che si sia discusso solo di un Rolex.
Perchè dietro un orologio mostrato con orgoglio si è palesata la fine della comunione (o della pazienza) fra una parte del popolo italiano che eredita, vive di rendita, gode di posizioni favorevoli, e un’altra che arranca, dal milione di disoccupati scaturito dal Covid, ai quasi 6 milioni di individui nella soglia di povertà.
Insoddisfazione montante di cui tenere conto.
Roman, suo malgrado, è diventato solo un simbolo per tutte le parti interessate ma è proprio quando in una comunità si genera una spaccatura così corposa attorno a un simbolo, allora è il momento di sforzarsi e fare un’analisi che spieghi il posto delle lancette, non il materiale con il quale sono costruite.
Tutto il contrario di quello che hanno provato a fare i padri politici di Roman Pastore.
Le tre del giorno non sono le tre del mattino.
Il Flik Flok non è un Rolex.
Roman non rappresenta “i giovani” ma una larga parte della società che rischia di muoversi nel mondo anelando e contemplando l’orologio. Una parte del futuro che se continuerà a tirare dritto in questo modo, guardando l’orologio senza allargare lo sguardo, rischia di cogliere il classico palo in faccia in un tempo pericolosamente sempre più vicino, almeno a giudicare dal termometro sociale del momento.
Perché il tempo scorre uguale per tutti ma la fatica con la quale ci si muove al suo interno è diversa per ognuno.
E nell’oggettivazione economica con la quale ormai si misura tutto, assurgere a valore un prodotto rischia di creare scompensi sociali.
Nel caso Roman non si è trattato della comoda “invidia sociale” tirata in ballo dai crisostomi in giacca e cravatta ma di frustrazione, la stessa con la quale in troppi, sul piano politico, giocano pericolosamente, piazzando un mirino sugli ultimi.
Anche se è chiaro a tutti, in primis a chi si occupa di politica, che la situazione economica attuale non sia figlia del reddito di cittadinanza ma dei tanti portatori di Rolex che non registrano nella maniera corretta all’Agenzia delle Entrate, la loro dichiarazioni dei redditi.