Mi chiamo Francesco Totti: toccante, divertente, assolutorio

Una storia che fa perno sulla nostalgia. Un campione che riesce a tradurre perfettamente il suo modo di essere davanti alle telecamere. Un risentimento malcelato e un cordone con la palla che non si spezza. “Mi chiamo Francesco Totti” è un documentario toccante e divertente, seppur assolutorio, come tutte le autobiografie.

 



 

Totti è stato il più forte n.10 della Roma, fra i migliori che l’Italia abbia mai visto, l’unico capace di segnare nel mondo sportivo capitolino un’epoca lunga oltre venti anni, iniziata con il game boy e finita con la realtà virtuale immersiva. 

La biografia umana e sportiva del “Capitano” si intreccia per 90 minuti con quella della capitale, nelle immagini di una città e del suo popolo che cambiano radicalmente fra gli anni 80′ del primo scudetto e il suo addio al calcio nel 2017.

 

Nella prima parte del documentario colpiscono soprattutto le immagini del tifo fuori controllo e violento degli anni 90′: gli scontri settimanali sugli spalti, ultras inferociti fuori da Trigoria, la polizia con il manganello sempre pronto: un importante ripasso nella storia di un Paese che non si è del tutto involuto come ci raccontiamo ogni giorno ma è riuscito anche a migliorare, razionalizzando una passione senza perdere il gusto per il gioco più bello del mondo.

 



 

Un protagonista che crede nel destino e lo sottolinea più volte nel suo essere voce narrante, elevando la riflessione sul gesto tecnico a segno del divino.

 

Il destino di essere Francesco Totti: simbolo della Roma, espressione di una città popolare e accalorata che passa dal Principe Giannini all’Ottavo Re nel decadimento circostante, in una capitale che correndo verso il nuovo millennio si fa sempre più provincia, aggrappandosi disperata al talento, alla fedeltà, al cuore.

 



 

Una riuscita cavalcata di emozioni che termina con l’assolutorio “sono fatto così”, per giustificare le reiterate uscite a vuoto di un simbolo troppo spesso vittima della frustrazione: dallo sputo mondiale verso il danese Poulsen fino al calcione a Balottelli. A perorare la causa dei suoi detrattori sul piano umano, quella consapevolezza di essere stato rappresentante di Roma e non più di Francesco già nei primi anni di carriera.

 

Esattamente come un monumento, ciò che Totti ammette di essere diventato ben prima di concludere la carriera nel pasticcio comunicativo con Spalletti, altra storia musicata con il rintocco di una sola campana.

 

Ciò che manca per pareggiare il conto senza cercare di imbellettare inutilmente la storia, è il Francesco Totti che non tutti conoscono: quello del sostegno economico all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, la sua disponibilità umana, il sostegno offerto in silenzio. 
Per questa via, però, si esce dallo stigma del campione di calcio e si entra nel labirinto dell’uomo, in un luogo nel quale nessuna macchina da presa riuscirà mai a immortalare la verità.

 

dì @GuidaLor






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