Paolo Rossi: l’Italia saluta il suo numero 20
Braccia al cielo, figura esile, sorriso degli occhi, sguardo strizzato, accecato dalla luce delle telecamere per lo scandalo scommesse o dal sole di Spagna.
Paolo Rossi muore in un anno indimenticabile per l’Italia, come quel 1982 da campioni del mondo.
Anti protagonista, anti eroe, timido, “the normal one” come lo definirebbero oltre Manica, Paolo Rossi, cognome fra i più comuni nel bel Paese, ha segnato l’epoca dei boomer con il suo essere “special one” nella capacità di cogliere l’occasione, trascinare una squadra alla vittoria sportiva e una nazione individualista all’esaltazione del collettivo.
Morto giovane come il paradosso che incarnava: centravanti magro, juventino amato da ogni tifoseria, uomo che sbaglia, lasciandosi trascinare nel giro delle scommesse, trasformatosi in condottiero grazie alla seconda possibilità offerta da un altro totem, l’allenatore Enzo Bearzot.
#PaoloRossi era un ragazzo come noi.. #pablito #rip pic.twitter.com/ReWzgauReZ
— Barons1380 (@Barons1380) December 10, 2020
Non ha fatto poco, per essere un uomo timido. Ha reso felice un popolo, ha unito una nazione, ha segnato una generazione #PaoloRossi pic.twitter.com/tzt2iIFbEL
— stefano menichini (@smenichini) December 10, 2020
Negli ultimi anni personaggio televisivo, ballerino e commentatore sportivo.
Appassionato di vino e olio che produceva dall’inizio del millennio nel suo buen retiro in Toscana, insieme alla giovane moglie, Federica Cappelletti.
Altro simbolo che ci saluta nel 2020, arresosi al “brutto male” e al destino di un anno che ha il tempismo di un difensore cattivo, in tackle duro sulle caviglie di ogni italiano.
Grazie per averci fatto sognare…#PaoloRossi pic.twitter.com/tvxtx0M3lp
— Nico R. ⚠⬜⬛⚠ (@pistoligno_gol) December 10, 2020