Psicologia della quarantena: osservazione e tappi nelle orecchie
Non trovo così utile dare consigli su come affrontare la quarantena da coronavirus. È un’esperienza nuova per tutti, che ci tiene chiusi in casa ma soprattutto bloccati in una dimensione psichica ferma, in un tempo che forse mai abbiamo sperimentato nella nostra vita.
Quando nel mondo della realtà siamo costretti a rimanere fermi, è molto facile che ciò che abita il nostro mondo interno cominci a muoversi, a volte lentamente, trascinandosi in modo stanco così che non possiamo neanche sentirlo; qualche altra volta invece, il nostro mondo interno si muove con più violenza.
Potremmo fare un paragone con il terremoto: è come se questo tempo bloccato, e ce ne stiamo accorgendo tutti, carichi di ora in ora un’energia sempre più forte. Il terreno della nostra mente sprigiona dei gas, a volte impercettibili e di cui altre volte possiamo sentire l’odore. E l’odore del gas non è sempre piacevole, anzi.
Un grande problema dei terremoti è che non sono prevedibili: la croce di tutti i geologi. I nostri terremoti interiori invece lo sono: cresce la paura di ciò che potrebbe accadere, la sensazione di disorientamento, l’incapacità di dare un senso a ciò che accade.
Affacciarsi al balcone e vedere le strade vuote o camminare sul marciapiede e scambiarsi sguardi impauriti con persone che come noi hanno mezzo volto coperto, è una delle prime esperienze che abbiamo fatto in questo particolare tempo nuovo e che ha per primo scatenato queste sensazioni, queste avvisaglie.
Il problema allora è un altro, e risiede nel fatto che ciò che si sta muovendo dentro di noi non lo conosciamo affatto, non sappiamo dargli un nome. I geologi invece sanno tutto dei terremoti: epicentro, ipocentro, onde S, moto ondulatorio, grado…
Con pazienza allora, e poggiandoci a chi, vicino o lontano, può starci accanto, dobbiamo studiare. Studiare noi stessi, perché quando studiamo una cosa nuova pian piano cominciamo a sapere di cosa stiamo parlando.
Studiando possiamo aprire, nel significato che hanno per noi, parole come scoramento, paura, mancanza (di qualcuno o di qualcosa). Il tempo in cui siamo è fermo e fermi siamo anche noi. Non c’è molto da fare.
Tanti stimoli viaggiano invece velocemente e ci raggiungono. In cucina o in sala da pranzo, ad esempio mentre siamo alle prese con un bicchiere di vino e sentiamo le notizie del telegiornale, che di vino ci inviterebbero a berne di più. Ma anche in bagno, perché no, mentre siamo nella nostra intimità e scrolliamo la pagina di Facebook, dove immagini, suoni e parole continuano a rimanere con noi, a violarci.
E, si badi bene, siamo noi che ci concediamo a questa violenza.
Il contagio, i focolai, centinaia di morti, i nuovi untori (sarebbe meglio chiamarli i menefreghisti (ma davvero lo sono? Tante parentesi possono aprirsi)), ma soprattutto le “situazioni di collasso”. Forse è questo che ci spaventa ancor più tremendamente? Forse sì, la sensazione, chiamiamola pure angoscia, che qualcosa sia al collasso. Più di qualcosa, anzi. Il mondo intero sembra essere al collasso. Ci giungono parole vecchie con un significato leggermente diverso, nuovo: triage, esercito, vaccino, economia. Cancella, forse l’economia è sempre stata fonte di angoscia. Parole che in ogni caso si caricano di elettricità, portate come sono dalle correnti lontane di ipotesi alternative (complottistiche), di ciò che è già accaduto nella storia dell’uomo o che invece abbiamo letto solo nei libri di fantascienza, che ci fanno stare sempre sull’attenti, anche se non ce ne accorgiamo. Il vento del cambiamento, in questo tempo fermo.
Cosa dobbiamo fare? Avevo detto che non avrei dato consigli, ma già ho tradito le mie intenzioni quando ho suggerito di studiare noi stessi.
È l’unica possibilità, non ve ne sono altre: fare finta di niente o alzare il volume delle nostre paure al massimo può farci fare un passo falso (nel primo caso) o romperci i timpani (nel secondo).
Fare qualcosa per ammazzare il tempo, per non pensare è quello che abbiamo sempre fatto fin qui nella nostra vita, e in questo momento non funziona. Bisogna allora studiare ciò che siamo in questo preciso istante, studiarci per quello che siamo, imparando ad adattarci alla realtà che ogni giorno (come è sempre stato) si modifica e ci modifica.
È una cosa dolorosa, e a volte non è possibile farla da soli. Ci vuole allora qualcuno che possa ascoltare insieme a noi i segnali del nostro terremoto ed aiutarci a danzare sulle zolle che si muovono, a rimanere in equilibrio per continuare ad affrontare le sfide di questo tempo (per qualche tempo ancora) fermo.
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