Revolutionary road (2008)
I film ci interrogano su tante questioni, aprono finestre sul mondo e lasciano aleggiare domande che ci accarezzano, a cui pensiamo di dare una risposta o a cui rispondiamo inconsapevolmente.
Revolutionary Road accende una luce sulla questione della coppia, potremmo dire più in generale della coppia all’interno della società, una società che inserisce in modo circolare il soggetto dentro una complessa struttura ad ingranaggi che si dipana non solo attraverso il lavoro, così fondamentale nell’età della tecnica, ma anche attraverso la famiglia, il ruolo della donna, la comunità.
Dicks, psicoanalista oggettuale che ha lavorato soprattutto negli anni ’50 e ‘60, cerca di spiegare la coppia a partire da un particolare incastro inconscio che determina l’incontro tra i partner.
L’incastro inconscio, tuttavia, è il derivato delle storie di due soggetti che si uniscono all’interno di una struttura terza quale è la coppia. In questo caso, come spesso accade nei film, non siamo al corrente degli aspetti storici che hanno portato Frank ed April a conoscersi e a scegliersi. Possiamo però cercare di capire da cosa ha origine la loro crisi.
Il quadro di April è molto affine a quello della personalità isterica, un soggetto alle prese con le proprie difficoltà identitarie che si trova a pensare che il luogo della vita non è quello attraversato nel presente, ma risiede in un ideale, che nel film è rappresentato dal trasferimento a Parigi.
Il risultato, in genere, è che nulla va bene: niente basta mai. April chiede a Frank chi ella sia, e più in generale chi sia la coppia che formano, con i bambini e tutto il resto.
Già in film come “Shutter Island” e “Inception” abbiamo goduto dei personaggi interpretati da Leo Di Caprio come uomini alle prese con donne profondamente isteriche, che spesso hanno trasbordato sul versante psicotico della malattia mentale. Mariti adoranti che si sono cimentati con tutti se stessi nel tentativo di porre in maniera disperata una diga a questo trasbordo, alla psicoticizzazione della partner.
In questo caso tutto è inserito invece in una cornice di normalità, il nido della nevrosi, una normalità che April percepisce come sensazione di vuoto e inutilità, laddove invece la vita va vissuta alla ricerca a tutti i costi della sensazione di essere speciali. Di conseguenza, anche l’amore del Frank interpretato da Di Caprio, per quanto adorante (di un ruolo, più che di una donna) risente di tale condizione umana e assume le fattezze di un amore più ‘normale’, per quanto disperato.
Eppure la coppia continua incessantemente a ricercare la sensazione di essere speciali, come marito e moglie vengono definiti dagli amici, o dalla padrona di casa. Una specialità che nasconde invece una crisi logorante, che intacca gli aspetti più intimi della coppia.
In questo senso, è importante osservare che Frank riesce a prendere le distanze da un’identità individuale intesa come fragile contenitore che lascia il passo all’identità con-fusa della coppia, dove i desideri dell’uno devono combaciare con i desideri dell’altro, essere un Uno, viaggiare verso la simbiosi. Frank, alla fine del film, si adegua disperatamente al suo ruolo di individuo nel mondo. Di ingranaggio nella società.
April, dal canto suo, affida invece la propria individualità all’ente terzo della coppia, ritrovandosi all’interno di un conflitto inesauribile, laddove la propria identità personale, il proprio bisogno di autonomia, urla per essere liberato accanto all’altro suo bisogno, quello di dipendenza, anch’esso così rumoroso e violento, così ribelle.
Alla fine, a fare le spese di questo conflitto così potente, sarà il frutto dell’amore di Frank ed April, il bambino mai nato, come a mostrare che il conflitto tra autonomia e dipendenza, quando portato all’estremo delle sue conseguenze, conduce alla morte della generatività.
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