Riapertura delle regioni: la boria del nord, il servilismo del Sud, la sconfitta della politica, il silenzio di Mattarella.




 

Mesi di terrore, dibattiti, polemiche, misure mai sviluppate nei modi e nei tempi in cui erano state annunciate: dal 3 giugno lo spostamento fra regioni sarà nuovamente possibile per tutti, alla faccia della “eterogenea incidenza settimanale dei contagi sul territorio nazionale”, registrata dagli esperti.

 

Tale decisione segna la sconfitta della politica nazionale rispetto ai Governatori più audaci (o scellerati?) e si rispecchia in due realtà incontrovertibili.

 

La prima è la boria espressa dai più alti rappresentanti politici del settentrione, con uscite di cattivo gusto tradotte nel ricatto di un turismo presuntamente ricco e pronto all’abbandono di sud e isole per i legittimi dubbi espressi da chi governa territori con sistemi sanitari ridotti ai minimi storici, a causa degli errori di un sistema sul quale si è già espressa la Corte dei Conti, in data 30 maggio.

 

Alle minacce da “cummenda” dei lombardi più noti, non si è registrata alcuna risposta degna di nota: né da parte del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, né da parte del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, figura deificata e icona del web, quanto taciturno osservatore di una situazione sfuggita di mano – e di bocca- a numerosi rappresentanti delle istituzioni, di cui egli dovrebbe essere l’epitome, il simbolo, il garante di valori dispersi nella smania di protagonismo delle singole cariche.

 

Come contraltare alla boria del nord non può passare inosservata la reazione di alcuni Presidenti delle regioni del Sud, persi in un servilismo ottocentesco, dentro la forma mentis di chi non riesce a svestire i panni del sottomesso e disonora liberamente il senso della dignità che pure in molti, fra i propri concittadini, conservano ed esprimono – per quanto possono-  attraverso il web.

 

Nomi facilmente rintracciabili non hanno perso tempo, a discapito dell’orgoglio, invitando pubblicamente, con la foga degli “acchiappini” fuori dai ristoranti, i risentiti  turisti settentrionali, invitandoli nelle “loro terre”, nel goffo tentativo di rubarli ai più dubbiosi vicini o strappare un titoletto sulle testate nazionali.

 

Una polemica, quella delle vacanze estive, dal tratto sociale marcato come non se ne ricordavano da anni. Un caso con il quale si è nuovamente svelato il campanilismo di una politica – e di un popolo – ancora impantanato nella storia di ieri, dentro gli strappi fra classi, nella retorica del terrone e in quella della presunta vendetta.

 

La  politica rispolvera, nel caos di una ripartenza, vecchie mentalità imbarazzanti, presunte superiorità ridicole, descrizioni di un Paese ancora spaccato in due fra orgoglio e pregiudizio.

 

 



 

 

A questa cronaca generale, che rappresenta la sconfitta più cocente per la politica, si accompagna un dato di fatto sul quale nessuno ha posto accenti o sottolineature: il 3 giugno nessun italiano andrà in ferie a discapito di altri. Sarebbe bastato attendere un altro paio di settimane prima di liberare da Lombardia, Piemonte e Liguria un esercito di presunti positivi che ora nessuno riuscirà a controllare.

 

Sull’onda emotiva e nella necessità di mandare gli italiani del settentrione nelle loro case sarde o nei porti liguri, si è scambiato il 3 giugno per il 15 agosto, senza che nessun dirigente abbia alzato la mano per riportare tutti alla ragione del calendario.

Ma la seconda realtà in cui si palesa la sconfitta del Governo rispetto ai presidenti di regione e a parte dell’opinione pubblica, risiede nei numeri.

 

Il 25 febbraio 2020, la Lombardia, con 240 contagiati totali, inaspriva le misure di contenimento chiudendo i bar dalle ore 18:00, teatri, cinema, vietando gli sport di squadra. Tentativo tardivo e inutile, come la storia ha poi dimostrato, al quale seguì la zona rossa totale del 7 marzo e il lockdown nazionale dell’11 marzo.
Oggi, con una media dei contagi  ancora superiore alle 300 unità, la Lombardia registra i due terzi dei casi nazionali quotidiani. Nonostante ciò, la sua situazione è messa in paragone con quella dell’Umbria, dove i contagi sono a zero già da una settimana.

 

A fronte della mancanza di controlli, della moria di reagenti per i tamponi, delle mascherine a prezzo calmierato, oltre che dell’assenza di una app per il tracciamento valida ed efficace, con una curva dei contagi pur discendente, le regioni più coinvolte non hanno voluto aspettare 15 giorni prima di lasciare che i loro cittadini si muovessero liberamente, diventando potenziali diffusori di un virus ancora presente e per nulla indebolito secondo gli attuali studi scientifici.

Se si contesta la riapertura generale -come sta facendo chi scrive – per amor del vero non si può fare a meno di ricordare che, dal 3 giugno,arriveranno dall’estero turisti dei quali non possiamo sapere niente. D’altronde, “l’economia ha necessità impellenti, l’estate è alle porte.”

Ma se questo è vero, allora tanto vale smettere di martellare i cittadini e imporre regole impossibili da seguire per gli esercenti, limitando in maniera determinante i consumi, affidandoci, con l’anima in pace, a quello che ci è sempre venuto meglio: pregare e sperare nel colpo di genio o in quello di fortuna.

Quanto narrato nei penosi mesi del lockdown e nelle agitate settimane della ripartenza, sarà ora messo in archivio: speriamo di non doverlo andare a ricercare molto presto.

 

dì @GuidaLor

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Foto https://pixabay.com/it/photos/spaghetti-pasta-tagliatelle-2931846/

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