Ristoro doveroso ma su che basi?
E’ pacifico che il 2020 passerà alla storia come l’anno della pandemia ma non tutto il male viene per nuocere se il tragico evento avrà aiutato gli italiani a comprendere il senso delle tasse e il loro valore sociale.
L’ultimo Dpcm che impone la chiusura di bar e ristoranti a partire dalle ore 18:00, aprendo il tema dei “ristori”, è una nuova, pesante lezione impartita dal virus verso una società alla quale il 2020 ha presentato il conto salatissimo delle sue mancanze: dallo smantellamento della sanità, agli effetti dell’evasione fiscale più corposa d’Europa, improvvisamente sparita dai ragionamenti dei talk show o negli editoriali più prestigiosi.
E allora che le vesti stracciate dei soli ristoratori occupino gli schermi televisivi e a “culo tutto il resto”, come cantava Guccini.
Ma nel contesto di un Paese in cui tutti hanno motivo di lamentarsi, i redditi dichiarati nell’anno del signore 2016, prima che gli studi di settore andassero in pensione a vantaggio degli “indici di affidabilità”, anche il più distratto noterà che le categorie oggi maggiormente colpite dalla pandemia denunciavano i seguenti, ridicoli, introiti, diffusi dal Dipartimento delle Finanze e ripresi dal Corriere della Sera:
- impianti sportivi 2.600 euro
- discoteche 4.600 euro
- istituti di bellezza 10.000 euro
- profumerie 11.400 euro
- bar e gelaterie 17.400 euro
- ristoranti 18.000 euro
Vita grama già da anni per il povero gestore della discoteca o per il ristoratore che porta avanti un’attività sfiancante fra burocrazia e certificazioni, per poco più di mille euro al mese: eroi!
Al di là delle battute e non volendo fare “di tutta l’erba un fascio” -che già ne abbiamo troppi in strada- è necessario rendersi conto che l’innegabile ecatombe imprenditoriale si trova nel contesto di una cassa integrazione all’80% ancora inevasa dall’Inps verso oltre 300.000 lavoratori da mille euro al mese (quelli che non hanno mai potuto evadere), con la fine del blocco dei licenziamenti e il dramma sociale di chi non possiede nero sotto al materasso: insomma siamo sulla soglia di un baratro che non riguarda solo le pizzerie o chi fa cornetti.
Il rischio di sostenere in maniera corposa imprenditori che comunque licenzieranno con la scusa della crisi è evidente e deve essere normata prima di creare un ulteriore strappo sociale.
Vogliamo davvero iniziare un contest fra chi si straccia le vesti con più vigore o dobbiamo concentrare le risorse in modo equo, guardando alla realtà dei fatti?
Nella gara a chi urla con maggiore impeto trovando il riscontro di microfono e telecamere per farsi notare, il Governo, a differenza di marzo, non è nella posizione di accontentare tutti: la cassa dello Stato piange più forte dei suoi figli.
Si salverà chi può allora ma è certo che sarà più facile per i possessori di una ciambella nascosta negli anni pregressi (e senza troppo mistero) agli occhi del legislatore.
Ciò detto, con poco sarcasmo e scarso entusiasmo, la chiusura parziale delle attività coinvolte nel Dpcm per oltre un mese a partire da oggi, impone il dovuto, sacrosanto ristoro verso gli imprenditori.
Tutto giusto e doveroso ma quanto dovrebbe essere ristorati i ristoratori o i baristi o i centri sportivi?
A questa domanda il fondatore di Articolo Uno, Pier Luigi Bersani, ha cercato di dare risposta nel programma “di Martedì”, in onda su LA7, proponendo un sostegno pari a quanto dichiarato nel 2019.
Apriti cielo: Bersani cattivo, Bersani comunista, Bersani nemico degli imprenditori.
Bersani come al solito e per sua sfortuna personaggio fuori tempo: politico troppo vetusto contro l’astro nascente Renzi; Bersani maltrattato dai 5Stelle prima che si incollassero alla poltrona e scaricassero gli ideali streaming nel wc; Bersani veramente sfortunato quando l’emanazione delle norme nel mondo assicurativo e nella surroga dei mutui da lui ideate, non sono passate alla storia come una delle ultime, coraggiose azioni politiche degne di nota nel Paese dei piangina.
E se Repubblica calcola in 1.3 miliardi di euro il ristoro che andrebbe girato ai soli bar e ristoranti sul territorio nazionale, la FIPE ne chiede già 2.7.
E il Governo? Come sempre pronto a tendere la mano ai bisognosi, il Premier promette pagamenti “subitanei”, per dirla con il Paolo Stoppa, strozzino di Amici Miei, mentre chiude un attimo gli occhi sulla mancata estensione del blocco dei licenziamenti e attende qualche altra sommossa, magari meno nera e più trasversale, per rendersi conto della realtà circostante.
Come finirà? Molto male, speriamo non malissimo.
In una perenne cena delle beffe, con portate gourmet per alcuni e poca minestra per tanti altri, il banco può saltare più facilmente di quanto non si voglia pensare.
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