Storia della prostituzione: dalla Roma Imperiale ad oggi
I primi “fenomeni organizzati” di prostituzione si registrano nell’antica Roma, dove i bordelli venivano chiamati “lupanari”.
Era chiamata “lupa” colei che esercitava la professione.
In questo senso, la figura della “lupa” che allevò Romolo e Remo prende un significato ben diverso da quello leggendario al quale siamo abituati…ma partiamo con la cronostoria:
Nella Roma Imperiale i lupanari erano sparsi per tutta la città, con una maggiore concentrazione di queste attività nella zona della Suburra (l’attuale Rione Monti).
Continuarono a chiamarsi “lupanari” anche nella Roma pontificia, epoca in cui, però, iniziò a nascere una netta distinzione fra le cosiddette “puttane o zoccole” e le “cortigiane”.
Le prime esercitavano la professione per strada o negli alberghi a ore, ed avevano dei protettori chiamati “puttanieri o magnaccia”. Nel corso del XVII e XVIII secolo, furono assegnate zone specifiche all’interno dell’Urbe per quante volessero – o fossero costrette – a prostituirsi. Una volta morte, le prostitute venivano sepolte fuori dal Muro Torto (vicino Piazza del Popolo), a meno che non si fossero sposate qualche mese prima del decesso o avessero portato in pubblica piazza il loro pentimento.
Le “cortigiane”, figure classiche del mondo rinascimentale e barocco, solevano invece ospitare i clienti in case di proprietà. Nobili e uomini del clero erano la clientela più frequente per quelle che oggi verrebbero definite”top escort”.
Il dato interessante sul mondo della prostituzione fra 1500 e fine del 1800, è che ognuna di queste professioniste del sesso doveva pagare le “gabelle”, ossia tasse tramite le quali si edificavano chiese, si rifacevano strade, si ristrutturavano le mura della città.
A partire dal 1870, con l’unificazione d’Italia, Cavour impone la regolamentazione della prostituzione con la nascita delle “case di tolleranza”, conosciute con il nome di “case chiuse” dopo i perfezionamenti portati dall’On. Crispi : in sostanza, secondo le nuove leggi, le persiane o le imposte dovevano essere “chiuse” in modo che non si vedesse da fuori l’attività svolta all’interno della casa.
In questo senso, fa sorridere pensare che con lo Stato Vaticano il controllo sul pudore e la morale attorno al mondo della prostituzione, fu lasciato più libero di quanto non lo siano poi stati i Governi laici nati dopo dell’Unità d’Italia.
Nel 1930, a Roma, si contavano 19 case chiuse, chiamate da allora anche “casini”.
All’inizio del 900′ il sistema di queste attività era ormai istituzionalizzato: i proprietari dei “casini” erano chiamati “tenutari”, i quali, avendo spesso nobile origine familiare, mandavano i propri collaboratori a riscuotere il dovuto e, cioè, il 60% di ogni “marchetta”. Al tenutario veniva data una percentuale anche per quanti volessero solo curiosare o prendere un caffè, pagando un semplice biglietto d’ingresso. L’orario dei casini era ferreo, dalle 10 alle 24, con severi provvedimenti per quanti fossero stati trovati a pernottarvi di notte.
La prostituta più anziana, ormai in pensione, fungeva da custode della casa, controllando l’età minima per l’ingresso (18 anni, 3 mesi ed un giorno), ed illustrando i prezzi che, per obbligo di legge, dovevano essere esposti in bella vista.
Con la legge Merlin del 1958, la storia secolare della prostituzione – più o meno regolamentata – ebbe fine.
Il risultato della legge – lodevole nel suo tentativo di liberare molte donne dal giogo dei magnaccia e restituire loro dignità – è, però, sotto gli occhi di tutti. Come nella Roma barocca le prostitute sono tornate a riempire le strade: senza più gabelle, controlli fiscali, medici, e con i magnaccia, in molti casi, ancora al loro posto.
foto https://en.wikipedia.org/wiki/Prostitution_in_France