Sudamerica all’italiana: la politica da una parte, il Paese dall’altra
Cresciuti con l’orrore per le favelas e i ghetti, per le disuguaglianze e l’autonomia della politica rispetto alle richieste dei suoi elettori, l’ultimo rosario di notizie fornisce il quadro di un’Italia che ha intrapreso modi e metodi propri delle fragili democrazie sudamericane, spettro fino a ieri lontanissimo e oggi palesato nella rassegnazione dei cittadini rispetto alle disparità sociali, alle storture democratiche, alla sostanziale esclusione da ogni dibattito e scelta strategica, affidata a élite sempre più circoscritte, interconnesse, fondamentalmente disinteressate alle reazioni sociali, via via sopite nel corso degli ultimi, orrendi decenni di estetico individualismo forgiato dal mercato.
Il Sudamerica è arrivato in Italia non solo nella gestione della cosa pubblica ma anche nel suo quotidiano, apparizione dei militari compresa, seppure sfumata nell’emergenza pandemica.
Una triste realtà che emerge nella Milano scintillante e tanto decantata quale modello socio-culturale, in cui i giovani rampolli della Bocconi sono costretti a farsi accompagnare a casa dai bodyguard.
Il Sud del Sud che rappresentiamo fra i grandi dell’Occidente, espresso nel recente teatrino politico autoreferenziale del Quirinale è arrivato a spingersi fino alla fattiva repressione di qualunque protesta giovanile, da ultimo scaturita per l’assurda morte di Lorenzo Parrelli.
Nell’Italia del nuovo millennio per ogni disparità c’è un sussulto inutile, a ogni grottesco spettacolo offerto dalla politica risponde un rassegnato sospiro, per ogni fiato un colpo di manganello.
E a ogni bivio, pronta a servire il potere più sgangherato di sempre, c’è la nutrita pattuglia di pseudo giornalisti al lavoro sul quotidiano lavaggio del cervello di una massa che, in ogni caso, appare ormai inerte.
Due milioni di italiani vivono in uno stato di povertà assoluta. Uno su quattro con una regolare occupazione.
Il mondo del lavoro, concetto alla base della nostra Costituzione e società, è stato devastato con anni di meticoloso pestaggio dei diritti, in un trentennio inaugurato dall’avvento di Berlusconi e accarezzato da una sinistra che non c’è più e oggi nemmeno segna a matita, anche solo per memoria di sé, i quasi 1.000 morti sul lavoro del 2021, nelle anacronistiche otto/dieci ore di impiego sei giorni su sette (quando va bene).
Altro aspetto sudamericano di questo Paese sulla via del collasso riguarda la gestione pandemica: regolamenti folli, una confusione carnevalesca di colori e divieti puntualmente disattesi dalla realtà, nella quale non si è agito in alcun modo per mettere in sicurezza – anche solo formale – mezzi pubblici e scuole.
Siamo nell’epopea del “si salvi chi può”, dal virus o dalla povertà, con la politica occupata a difendere se stessa , fare da intermediario per altre sfere o più semplicemente per un’idea di società nella quale lo spazio della comunità si restringe al mero interesse economico e alla possibilità di contribuzione produttiva del singolo cittadino-ingranaggio.
Nello stordimento di una popolazione in marcia da due anni fra incertezza e tragedia, la politica tira dritto dalla parte dei suoi interessi mentre il Paese si disperde altrove.
Il 2022 inaugurato dai grotteschi applausi a Mario Draghi -e continuato con l’imbarazzante maratona del Quirinale – apre le danze di febbraio con l’ennesima bagarre sulla legge elettorale.
L’irreale delle discussioni istituzionali e i focolai di insoddisfazione che prendono corpo in tutto lo stivale, accesi da quei pochi giovani scampati all’anestesia del moderno.
Sullo sfondo una crisi sociale senza precedenti, il tasso di denatalità che apre le porte a un futuro oscuro e la certezza, arrivati al 2022, di aver bruciato almeno tre generazioni sull’altare del precariato, dell’immobilismo politico, dell’erosione del risparmio di un popolo diventato improvvisamente borghese nel dopoguerra e risoltosi in straccione esibizionista social con i resti della festa, che pure volgono al termine.
Dietro lo strappo politico e sociale, il fondo di una lacerazione più profonda e di origine socio-culturale che ha ridotto la collettività in una moltitudine di singolarismi incapaci di fare massa critica.
Laddove non c’è più confine, margine, ruolo, Hegel e il suo motore della storia si inceppano, generando vittime i cui carnefici diventano non solo intoccabili ma anche invisibili.
dì @GuidaLor