Un Paese in ripresa e uno mezzo morto: i dati Istat e l’importanza del welfare

Stando all’ultima rilevazione Istat, le misure d’emergenza introdotte nel 2020 dal Governo Conte II sono state decisive per contrastare lo smottamento sociale ed economico dovuto alla pandemia.

 

La realtà descritta da i numeri è racchiusa all’interno di un quadro sociale certamente complesso, seppur facilmente comprensibile anche ai tanti italiani che vivono nell’iperuranio e a chi persegue con ostinazione il suo cammino nella scia bavosa lasciata da un’idolatria di Governo senza precedenti, pericolosa tendenza che ricorda il clima attorno alle oligarchie asiatiche, pur condannate quotidianamente dalla nostra intelligentia adorante.

Nell’applauso di Confindustria per un Paese “in ripresa”, i dati dell’Istat si inseriscono con lo stridio di un gesso sulla lavagna:

  • +735.000 disoccupati rispetto a marzo 2020 – ai quali andranno aggiunte le migliaia di lettere di licenziamento spedite dal 1 luglio 21;
  • oltre 2 milioni di famiglie (quasi l’8% del totale) e 5.6 milioni di individui, nella soglia di povertà.

Dal milione di posti di lavoro che ritorna ciclicamente negli spot elettorali, al milione di posti persi per un virus tutt’altro che sconfitto; dall’Italia in ripresa a quella che affonda silenziosa: la competenza dei numeri non lascia scampo nemmeno ai professori.

 

Numeri angoscianti, per i quali paradossalmente c’è di che esultare dopo diciotto mesi di pandemia mondiale nei quali avremmo potuto assistere a strappi ancora più corposi.

 

E se nell’era del Re Draghi si battono le mani per qualche dichiarazione banalotta (rilasciata solo attorno ai temi di suo interesse), bisogna pur dare atto che le politiche messe in campo dal Governo Conte II, per quanto emergenziali, sanguinose sul piano economico e di breve respiro, hanno fatto la differenza nella tenuta del Paese.

 

Ció che stenta a capire “l’italiano medio”, tale per il suo sguardo miope sulla complessità dello stivale, è che in una situazione tanto drammatica chi sventola l’abolizione del suddetto welfare come “to do” per il futuro più imminente,  compie oggi un atto terroristico nudo e crudo, solleticando la rabbia di un esercito di cittadini insoddisfatti, disperati, arrabbiati, esasperati: un pericolo per la famosa “tenuta sociale”, che solo le politiche di sostegno hanno saputo sopire, fatta salva qualche manifestazione minore per le riaperture.

 

Un sistema, quello attualmente dominante, al quale fa orrore l’orgoglio di Cuba e strizza l’occhio al  “capitalismo puro” degli Stati Uniti.

Un sistema al quale ci stiamo abbandonando con gioia, in un coro di voci unito, pur avendo tutti contezza di ciò che significherà sul piano dell’equità e dei diritti tale, definitivo passaggio: a partire da quell’assistenza sanitaria in continuo arretramento già prima della pandemia e depotenziata anche in sede di PNNR, nonostante gli eroi delle corsie Covid e la solita retorica nostrana.

 

CRISI ECONOMICA, CRISI DEI PARTITI

La conseguenza politica di una situazione economica e sociale cosi difficile, si riflette nella mancanza di un riferimento partitico per tanti cittadini. Realtà testimoniata dai sondaggi che vedono primeggiare proprio il partito dell’astensione.

 

Perché oltre ogni giudizio della storia, sembra chiaro che la disgregazione grillina, pur preventivabile, lascia un pericoloso vuoto nella politica italiana.

 

Un vuoto che i soliti volti, gli stessi uomini -e poche donne- ciclicamente al comando, difficilmente riusciranno a intercettare e tradurre.

Se il temporale non è ancora passato, il Paese si distrae con qualche tema di colore, come la bagarre sul #figliodipapá innescata dalle parole di Travaglio, o dal caso di cronaca sintomatico di un’americanizzazione de facto anche nel cinturone d’ordinanza fra civili, laddove quelli legittimati a portarlo si limitano alla violenza manesca (v. Santa Maria Capua Vetere).

 

Intanto gli “umili” o “ultimi”, in gran parte tacciono per “aver davvero molto sofferto”, come scriveva Camus. Una sentenza alla quale si affianca l’affermazione ragionata, pacata e competente, dello storico Luciano Canfora, secondo il quale ogni sistema politico e sociale che tende troppo la corda della disuguaglianza, alla fine è collassato su se stesso.

 

In questo senso, l’ascesa dei 5 Stelle è stato il classico scampato pericolo. La palla messa in calcio d’angolo da una società che usciva esasperata da venti anni di berlusconismo.

L’area di rigore però adesso è tornata ad affollarsi e le squadre hanno decine di maglie differenti che agli occhi di tanti italiani continuano ad essere tutte uguali.

Una grande mischia dalla quale è sempre difficile sapere cosa possa uscire.

Intanto il tempo passa inesorabile, sprezzante dei complimenti social alla divinità Draghi e galantuomo, in questo caso, con l’ex Premier Conte, quotidianamente massacrato ben oltre ogni limite della decenza, dagli stessi che lo sostenevano appena pochi mesi fa e oggi si portano le mani alla bocca per un “figlio di papà”.

Perché non c’è moderazione in un Paese smemorato da sempre e contrario da qualche decennio ad ogni compromesso.

Se oggi i numeri dicono che il welfare d’emergenza ha salvato il Paese, non mancherà a breve il rilancio degli imbecilli sulla sua abolizione, a motivo delle solite necessità di un Paese che torni “a funzionare” grazie alla jungla dei contratti flessibili e alla precarietà permanente spacciata come futuro.

Nel frattempo, dopo un mese dalla fine del blocco licenziamenti, di tutto si parla tranne che di una seria riforma del lavoro, l’accantonamento di fondi per incentivi alle assunzioni, il rilancio o la sostituzione attraverso un nuovo modello economico, di quel 98% di microimprese che formano il tessuto produttivo italiano e sono in gran parte destinate a morire, proprio per mano dell’adorata globalizzazione.

Tanto c’è il welfare, tira a campà.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *