Urne: sorrisi a denti stretti
Per analizzare il voto del weekend bisogna banalmente scindere l’esito delle amministrative da quello del referendum, fermarsi a osservare le reazioni dei leader di partito e trarne una lezione: chi vuole fare politica deve sempre esultare per il bicchiere mezzo pieno, anche quando contiene acqua sporca.
Nelle premesse, l’unica realtà fortemente esposta verso ambedue i risultati era il M5S, uscito devastato dalle regionali ma paradossalmente giunto a soddisfare gli obiettivi indicati dai seguaci della prima ora, con la vittoria del SI e un traguardo storico che servirà da bandiera per molto tempo.
Il voto amministrativo sancisce la vittoria delle destre perché, al di là dei cappotti promessi e traditi dalla realtà dei numeri, le percentuali dei partiti attorno al PD, a partire da Italia Viva, risultano ancora imbarazzanti e il duo Lega – Fratelli D’Italia registra un seguito ben più corposo e strutturato di quelle in divenire di Renzi e Calenda.
Nella conta dei punti fra i tre poli, Zaia trionfa con percentuali bielorusse in Veneto, Toti passeggia in Liguria, la Meloni si impone nelle Marche, regione storicamente rossa che fa il paio con la vittoria in Umbria di un anno fa. A questa tripletta il centro sinistra risponde con la vittoria di generali da sempre poco allineati rispetto alla linea romana: da Emiliano a De Luca, i voti sono il frutto di un protagonismo marcatamente regionale, con tutto ciò che ne consegue. Discorso a parte per Giani, in una Toscana che si è stretta dall’assedio leghista e avrebbe votato anche Topolino.
Nonostante i segnali poco esaltanti, Salvini resta il vero leader sovranista: tanto per la presenza sui social quanto per la riconoscibilità della sua persona e la capacità di adattamento a ogni contesto: ce lo vedete Zaia andare in Sicilia a chiedere voti?
Da ultimo perché è un uomo e l’elettorato della destra meno moderata è ancora lontano dal digerire una capobanda del “gentil sesso”, almeno sul piano nazionale e oltre ogni formalità.
Il PD esulta per aver difeso la Toscana, regione dove fino a ieri le votazioni erano una formalità.
Cede le Marche a un candidato accusato di partecipare alle celebrazioni della marcia su Roma (salvo prenderne le distanze in un secondo tempo) e in Puglia esalta il trionfo di un politico che ha picconato il partito un giorno si e l’altro pure (e continuerà a farlo).
Infine fallisce l’assalto a Toti nell’unica partnership raggiunta con i 5 Stelle.
E a tali risultati si somma l’ennesimo, vano corteggiamento verso il settentrione. Un discorso, questo, valido per il partito di Zingaretti tanto per quello di Renzi, Epifani, Bersani o Veltroni.
Ma la tornata elettorale e referendaria è passata soprattutto come un termoscanner sulla fronte del grillismo, con i relativi, futuri riflessi sull’azione e la tenuta del Governo.
Se a livello amministrativo si registra l’ennesima debacle e il prossimo alleggerimento del peso parlamentare a 5 stelle, la vittoria del SI al referendum è altrettanto naturale e pesante, frutto di una realtá nata con la ferma intenzione di rimettere in mano ai cittadini decisioni complesse anche per un laureato in giurisprudenza. Il “SI” è la vittoria dell’antipolitica che sta per perdendo rappresentanza ma non la sua capacità di essere sentimento diffuso.
Alle tradizionali dichiarazioni del “e ora riforme”, risponde una realtà nella quale da domani non si ricomincia un bel niente.
Si prosegue sul percorso tracciato con l’ansia di giocare alla roulette russa piú che una partita decisiva per l’investimento dei fondi NextGenEu. La gloriosa scalinata verso la ripresa rischia di trasformarsi in fossa se non verranno trovati indirizzi politici chiari e investimenti capaci di generare il ritorno necessario per pagare i debiti che l’Europa ci ha gentilmente concesso di aprire.
Chi si aspetta un Movimento 5 Stelle più moderato e accondiscendente con il PD di Zingaretti rimarrà deluso: se le urne hanno rilanciato il segnale di una prossima fine del grillismo, la speranza di risorgere è l’ultima a morire e continuare a insistere su politiche assistenzialiste può fermare l’emorragia di voti, almeno al Sud.
Una logica poco rivoluzionaria ma chi nasce incendiario muore sempre pompiere. O no?
dì @GuidaLor
Foto https://pixabay.com/it/illustrations/votazione-sondaggio-elezione-2042580/