Vaccino e Recovery: 2021, anno zero
Nella storia dell’umanità ricorrono date storiche, scolpite nella pietra dei secoli per ciò che hanno rappresentato: l’inizio di un rinascimento ma anche l’ingresso in periodi oscuri.
Il 2021 si candida a diventare un calendario indimenticabile, cerchiato ogni giorno da scadenze improrogabili e appuntamenti imprescindibili, tanto per la politica quanto per il mondo dell’informazione.
Il Tir che dal Brennero ha portato le 9.775 dosi del vaccino Pfizer contro il Sars-Cov-2 è il primo simbolo di una speranza che non deve trasformarsi in leggerezza ma accrescere la coscienza sociale per l’importanza di convivere ancora rispettosamente con il virus, in un tempo ad oggi fissato nella migliore delle ipotesi ad altri 365 giorni.
Sfibrato da mesi di reclusione più o meno “Light”, il tessuto sociale e produttivo del nostro Paese andrà ricucito con una sapienza da tessitore persiano. Ago, filo e fibre preziose sono lì a disposizione, in quel Recovery Fund che già nella pronuncia storpiata delle nostre dirigenze fa tremare più di un cittadino.
Nel doppio confronto che il 2021 propone alla nostra capacità organizzativa, le narrazioni politiche e giornalistiche avranno un ruolo fondamentale.
In questo Natale anomalo, l'immagine simbolo delle speranze di uscire presto dalla pandemia è quella di un furgone in viaggio verso l'Italia. Il carico di quasi 10 mila dosi di vaccino ha varcato il confine del Brennero ed è atteso all'ospedale Spallanzani di Roma. #Tg3 pic.twitter.com/4hxb7rGM2o
— Tg3 (@Tg3web) December 25, 2020
IL VACCINO
L’immagine del Tir dei miracoli scortato dall’esercito, è stato a suo modo l’icona di un’umanità sempre più tecnologicamente avanzata, unita, capace di superare i limiti imposti dalla natura.
Il messaggio di speranza scaturito da questo viaggio è però immediatamente trasceso nel mondo della comunicazione, elaborato e fornito all’immaginario popolare come un lieto fine, laddove al libro sul vaccino dei miracoli, in realtà, mancano ancora – e purtroppo – molti capitoli, centinaia di morti, un periodo più o meno lungo di sacrifici.
Il rischio di una narrazione distorta può agevolare quella voglia di libertà già spinta al limite da un anno di restrizioni. Un periodo lungo che rischia di far pagare ancora un prezzo altissimo, sia sul piano economico che su quello del benessere mentale, sempre poco citato dai media, rispetto al tema di generazioni disabituate a pensare al sacrificio come forma d’essere collettiva.
IL RECOVERY FUND
Se tutto filerà liscio, e su questo dobbiamo essere ottimisti, il prossimo Natale sarà diverso da quello appena trascorso ma non meno incerto sul piano della stabilità sociale.
Nel 2020 i vasi dell’economia e lavoro sono stati spazzati via dal vento della pandemia, frantumandosi nei punti più critici delle loro decennali debolezze.
Il Recovery Fund è la colla che l’Europa ha messo a disposizione per ristrutturare quanto distrutto, rinnovarlo e consegnare al futuro tre luci che possano ispirare le generazioni future: ecologia, sostenibilità, innovazione.
La lungimiranza delle prospettive e dei prossimi interventi incideranno inevitabilmente per più di un lustro sulle nostre possibilità economiche e, dunque, in quel sistema di libertà che poggia nel realismo cinico della società dei consumi.
Fingere di non conoscere la centralità di alcuni interventi, evitare di portare avanti i più ambiziosi, fermarsi alla solita ruota degli interessi locali e delle conventicole nazionali può significare apporre la pietra tombale su un Paese che non si sente bene già da un paio di decenni.
Per questo motivo il ruolo delle dirigenze sarà delicatissimo e quello della stampa fondamentale: tanto nel suo controllo e nell’attenzione verso ciò che succede, quanto nella capacità di narrare l’oggettivo, abbandonando quei particolarismi dei quali troppo spesso si fa megafono per il cordone ombelicale della pubblicità che tiene in vita l’informazione italiana.
Se riusciremo ad essere puntuali e lavorare con il senso della comunità che il 2020 ci ha regalato fra le tante sventure, forse veramente #andratuttobene. Altrimenti, il 2021 sarà non meno problematico del 2020